sei di vada se...

mercoledì 14 dicembre 2011

secondo 1 di 2

Secondo – 1/2
La voce cordiale di mia madre mi avverte che è quasi mezzogiorno. Dal tepore che avvolge la mia cameretta mi rendo conto che è una giornata stupenda. Socchiudo gli occhi. Con l’avvolgibile della finestra quasi totalmente abbassato, l’ambiente è in penombra ed intravedo le sagome familiari dell’arredamento e relative suppellettili da me disposte in ordine sparso nel corso degli anni. Mi scopro la parte alta del corpo ed indugio ancora un po’. Sulla mensola superiore della libreria, che sovrasta lo scrittoio, sono schierati modellini di moto di grossa cilindrata ed auto da rally dai colori sgargianti che attendono un inverosimile: pronti? via! Sulla sinistra, un vasetto ricoperto di creta colorata, frutto di un lavoro realizzato in quinta elementare, riproduce in altorilievo la faccia divertente di un pagliaccio dai capelli gialli e rossi attorniato da coriandoli, stelle filanti, clave ed anelli colorati caratteristici del mondo circense. Libri di varia natura, ma soprattutto testi scolastici, sono allineati sulla seconda mensola della libreria e, più sotto, quaderni ammonticchiati uno sopra l’altro occupano il ripiano inferiore. La scrivania, ricoperta da un vetro anti-graffio, è occupata da penne, porta penne, un piccolo calendario perpetuo, un minuscolo mappamondo ed un artistico tagliacarte che raffigura una spada di Toledo, ricordo del viaggio di nozze in Spagna di mia sorella. Oltre all’armadio, che si trova ai due lati della scrivania, due comode poltrone di pelle marrone, di forma classica e molto pratica completano l’arredamento ai lati di un piccolo tavolo sul ripiano del quale è intarsiata una scacchiera. I jeans, la maglietta ed il golfino indossati la sera prima giacciono abbandonati sullo schienale della poltrona più vicina alla porta, nell’attesa che si compia il loro destino nel cesto dei panni sporchi. Mi siedo sul letto stropicciandomi gli occhi, butto giù le gambe, i piedi cercano a tastoni le pantofole e, dopo un ulteriore minimo indugio, mi alzo a fatica. Le scarpe ed i calzini tirano tuttora il fiato, sparpagliati sul lucido pavimento di graniglia. Apro la finestra, rivolta a sud, sollevo la tapparella ed il sole, splendente nel cielo terso, ferisce le mie pupille assonnate inondando la stanza di calore e di luce. Effettivamente la giornata si presenta nel modo più radioso. Una rondine sfreccia fulminea nel cielo a pochi metri da me, mentre altre volteggiano in lontananza riempiendo l’aria circostante di striduli garriti.
Mi stiracchio, mentre uno sbadiglio tende spasmodicamente le mie guance e la bocca si spalanca raggiungendo dimensioni da far invidia ad un ippopotamo che sonnecchia nelle acque calme e limacciose del Nilo. Dalla finestra, sulla sinistra, mi colpisce l’albero di nespole giapponesi che esibisce, orgoglioso e spavaldo, frutti in avanzato stato di maturazione dalla buccia lucidissima e di una vivace colorazione giallo-arancione, in netto contrasto con il verde scuro del fogliame circostante. Dalla parte opposta, invece, scorgo frutti ancora verdognoli tra le folte fronde del maestoso albicocco: dovremo aspettare almeno un’altra ventina di giorni prima di poterli assaggiare. In mezzo, in prossimità del pozzo, un piccolo albero di ciliegie è stato ormai quasi del tutto razziato della propria mercanzia e poche sferette rosse spiccano inframmezzate al rado fogliame. Nell’orto di fronte Sergino, il vicino di casa, è intento a zappare di buona lena la terra per accudire a non so cosa. Pantaloni corti color kaki e canottiera blu a coste costituiscono l’adeguato abbigliamento integrato da un cappello di paglia a falda larga che ripara dal sole cocente la sua testa e la parte superiore delle spalle, già abbondantemente abbronzate. Le scarpe pesanti ed i calzini corti, di lana grossa, gli consentono di camminare con incedere deciso e privo di difficoltà in mezzo alle scabre zolle. Ogni tanto si raddrizza, si terge il sudore dalla fronte e, con uno sputo deciso, lubrifica l’attrito tra le ruvide mani, ricoperte da calli, ed il legnoso manico del marrone. Tra filari di pomodori verdi e rossi, rigogliose piante di piselli, fagiolini, peperoni, zucchini ed altri ortaggi, procede speditamente nel preparare il solco ad accogliere i semi di chissà quale verdura di stagione. Sullo sfondo, sul campanile della chiesa, le bronzee campane hanno iniziato il consueto movimento oscillatorio che, in breve, le porterà a percuotere il rispettivo batacchio: pochi secondi ed un festoso scampanio riecheggia puntuale nell’aria per avvisare i paesani che è giunto mezzogiorno.
Trascinando le pantofole, m’infilo un paio di calzoncini corti e mi affaccio in cucina dove un buon odore di ragù di carne annuncia che fervono i preparativi per l’imminente desinare.
«Buongiorno!»
«Buongiorno! Dormito bene? Ti ho sentito rientrare, questa notte: sarà stata l’una e mezza. Com’è andata la cena, tutto bene?»
“Me l’immaginavo” – penso tra me e me – “Eppure ho fatto tutto così silenziosamente! Quando sono rientrato non dormivano, figuriamoci. È normale”.
«Si! Lo Zingaro era in forma abbagliante ed ha fatto la sua buona figura. Le portate erano appetitose ed abbondanti. I ragazzi si sono alzati da tavola soddisfatti, ed i professori pure». Pausa. Fiuto con gusto gli aromi della cucina come un segugio in cerca della preda nel giorno d’apertura della caccia.
Una transitoria apparizione sul terrazzo, che domina la parte posteriore del giardino di casa, dove pochi alberi da frutto ed aiuole di fiori si alternano in un’armonia di colori e di profumi, e continuo nell’opera di stiracchiamento delle membra ancora intorpidite. Rientro. Ritorno verso il corridoio, mi avvicino al bagno. Apro la porta, affronto il water con atteggiamento indolente dopodiché appoggio le mani sul bordo del lavandino, fisso il rubinetto, poi il buco di scarico, di nuovo il rubinetto, guardo di fronte a me… Di soprassalto mi accorgo che un losco figuro mi sta fissando dritto negli occhi. È grottesco! Gli occhi si manifestano gonfi e ridotti a minime fessure da intricate ciglia attraverso cui s’intravedono appena le iridi castane; le folte sopracciglia nere, aggrottate, rendono ancor più truce il bieco sguardo; labbra pendule, semichiuse ed arcuate verso il basso a simulare un ghigno degno di un mastino napoletano a cui sia stata calpestata la coda; il naso a patata è leggermente arrossato; i capelli, come serpenti neri, ricordano vagamente la mitologica Medusa; la pelle del viso è raggrinzita da leggeri solchi rossastri. Praticamente un mostro. Ma no! Sono io! È lo specchio che mi ha tradito! Sono gli effetti del cuscino che mi ha maltrattato per tutta la notte, il bastardo. Mi ha malmenato, il caino. Mi ha sfregiato la faccia, l’infame. Mi ha ridotto uno straccio, il malvagio. Che fine ha fatto quel ragazzino dalla faccia pulita, pressoché imberbe, che ieri ha passato la sua prima serata vera da quasi adulto? Quello che ha preso l’aperitivo da Doriano attraendo come una calamita la deliziosa brunetta del juke-box?
Già è vero! La mia Biancaneve. Ecco che mi ritorna in mente (toh! Il titolo di un’altra canzone di Battisti!). Ammetto che, forse per la serata un po’ particolare, per la situazione che si è creata nonché, sicuramente, per la dolce ma fugace complicità della ragazzina, il ricordo genera nella mia mente un inconsapevole imbarazzo accompagnato da una leggera emozione. Tutto si è evoluto così rapidamente! Iniziato e concluso dando a stento il tempo di rendersene conto. Nell’arco di mezz’ora, il colpo di fulmine si è dileguato come un temporale notturno di mezza estate. Uno scroscio di pioggia a catinelle allaga le strade che assumono le sembianze d’impetuosi fiumi in piena, qualche lampo squarcia il cielo illuminando la notte come se fosse giorno, tuoni fortissimi da spaccarti in due e, poco dopo, più niente, con la luna e le stelle che tornano pallide a fare capolino tra le nuvole che si diradando rapidamente.
M’infilo veloce sotto il potente getto della doccia che, con il rubinetto aperto al massimo, ritempra energicamente le mie membra rattrappite. Uno shampoo abbondante, un massaggio veloce di bagnoschiuma e sono di nuovo in perfetta forma. Indosso l’accappatoio, metto i piedi sul tappetino di spugna e strofino vigorosamente i capelli che si asciugano velocemente: non ho mai usato il phon, la compattezza della mia capigliatura le consente di asciugare con pochi veementi colpi d’asciugamano. Emergo dalle pieghe di spugna di accappatoio ed asciugamano ed i capelli, neri e crespi, sono ancora più indemoniati di prima. Mi accorgo che sto fischiettando un’arietta senza senso: è evidente che il ricordo della serata appena trascorsa e la corroborante doccia mi hanno reso di buon umore, facendomi temporaneamente dimenticare che tra qualche giorno mi aspetta la prova d’Italiano dell’esame di Licenza Media.
Un salto in camera, apro un cassetto, mi tolgo l’accappatoio per indossare gli slip, una maglietta ed un paio di calzoncini corti e ritorno nel tinello dove la tavola apparecchiata ed un buon odore ancora più appetitoso mi fa arguire che il pranzo è quasi pronto. Mi reco di nuovo sul terrazzo, giusto il tempo per stendere ad asciugare l’accappatoio umido, e di nuovo dentro. Vista l’ora tarda, per oggi dovrò fare colazione con gli spaghetti. Mi rendo conto che è sabato: il babbo è a casa e sta salendo le scale per approssimarsi a sua volta al desco. Ci scambiamo una pacca sulla spalla e lui mi paga con un sorrisetto complice, come se avesse sentore di qualche mia nuova esperienza della sera precedente. Lo lascio credere. Mangio con gusto, mentre i miei pongono qualche domanda, per altro molto discreta, sull’andamento della serata recentemente trascorsa.
Faccio un po’ di cronaca della cena, soffermandomi sui particolari più divertenti, sorridiamo insieme noncuranti della televisione che, accesa a basso volume, trasmette le solite notizie di rimpasto del governo, di code sulle autostrade per le orde di turisti che calano dal nord per il fine settimana e dell’imminente sciopero dei benzinai per il rincaro del prezzo dei carburanti.