sei di vada se...

domenica 13 maggio 2012

terzo 2 di 3

Terzo – 2/3
La mattina dopo, alla fermata dell’autobus, Feo è già lì con lo zaino dei libri tra i piedi.
«Quanto fa due più due?» gli chiedo prima ancora di augurare il buongiorno.
«Cinque!» risponde lui non risparmiandomi un’occhiataccia, poi sorride e mi rendo conto che la crisi è passata.
Con l’autobus arriviamo puntuali davanti alla scuola. Puntuale anche la campanella delle otto e venti. Nanni oggi non è venuto: è rimasto a dormire.
Occhi dolci ci aspetta sulla porta dell’aula: indossa un abitino rosso a pois neri di tessuto finissimo, abbastanza scollato sul davanti, ma senza mettere in mostra niente di compromettente. Un girocollo di perlelezioni-di-matematica-e-geometria_1.jpg candide adorna il bel collo da cigno. I capelli biondi raccolti sulla nuca conferiscono ancora più luminosità al suo già radioso volto sul quale spiccano gli occhi celesti impercettibilmente truccati. “Eh! Avesse una ventina d’anni in meno!!!”
Ci fa accomodare ai nostri posti rimanendo vigile sulla porta della classe, dopodiché entra a sua volta, esterna gli auguri di rito ed apre la busta fatidica provvedendo alla trascrizione del compito alla solita lavagna. Nel corso dell’operazione, i procedimenti per risolvere i vari esercizi prendono corpo nella mia mente e, auspicando di non commettere errori di distrazione, non dovrei incontrare particolari problemi.
La prof distribuisce la canonica coppia di fogli protocollo a quadretti piccoli, immancabile la vidimazione del Ministero della Pubblica Istruzione in alto a destra, con la raccomandazione, per noi non nuova, di consegnarli entrambi, anche se stropiccicchiati per usare un termine da lei adoperato spesso. Aggiunge che la tentazione di copiare è ovviamente fortissima, al compito di Matematica, e perciò ci raccomanda di dimostrare la nostra determinazione e forza di volontà vincendo la stessa tentazione e portando a termine il lavoro in maniera regolare.
«Ritengo superfluo ricordarvi quale sarà la sanzione, nel caso in cui qualcuno venga beccato…» – sono le sue ultime parole prima di augurarci un buon lavoro.
Un’occhiata alla classe, un rapido ammicco con Feo, che abbozza una simpatica smorfia a conferma che la crisi della sera precedente è solo un ricordo, e, di gran carriera, a bordo della fida Bic, prendo il via sul foglio protocollo, lungo un immaginario circuito disseminato di figure geometriche, numeri, calcoli, radici quadrate e parentesi dalle forme più bizzarre.
Sfreccio velocemente tra equazioni e sistemi la cui risoluzione è una pura formalità, mentre un imprevisto inconveniente di carattere tecnico mi attarda nell’impostazione del problema di geometria. Una rapida sosta agli immaginari box, tanto per riordinare le idee. Una piramide, a base quadrata, è stata perfidamente tagliata, ad un’altezza nota, da un piano inclinato di trenta gradi e trovarne il volume e la superficie totale mi crea non poche difficoltà. La rappresentazione grafica è buona, ma la strada per raggiungere i dati sufficienti si presenta irta di scabrosità che, al momento, mi sembrano insormontabili. Scompongo la figura e la ricompongo. Feo sta andando avanti di buona lena, beato lui! Mi prende il panico. Non ci riesco. Comincio ad elucubrare su quanto potrebbe incidere la mancata risoluzione dell’esercizio. Forse non troppo, visto che ho risolto più di metà del compito, ammesso che abbia svolto tutto senza il minimo errore… Una piccola imprecisione su ciò che ho già fatto potrebbe costarmi cara, se non risolvo il problema di geometria. Sono quasi alla disperazione. Passano inesorabili i minuti, forse è già passata mezz’ora, da quando mi sono bloccato. Non ce la farò mai. Feo ha notato il mio comportamento e, con un calcio di sottobanco, attira la mia attenzione. Con un cenno della testa e della mano mi chiede cosa c’è che non va! Io mi accerto che occhi dolci non mi veda, poi muovo le labbra senza emettere alcun suono, ma ciò che voglio dire è inequivocabile:
«La piramide… panico».
«Non ti angosciare, al massimo ti bocciano» – mi dice lui, con lo stesso sistema, rendendomi pan per focaccia.
Sorride sotto i baffi. Lo mando a quel paese. Non siamo riusciti a nascondere totalmente il nostro, pur breve, scambio di sensazioni ed un «Allora…..!» tonante scuote la classe. Rivolgiamo le teste verso la cattedra e gli occhi non più dolci hanno assunto un’aria severissima capace di congelare le fiamme dell’inferno. Una vampa di calore mi avvolge il viso, probabilmente sono arrossito per la vergogna, sollevo lievemente la mano all’indirizzo della prof, in un cenno di scusa, e mi rinchiudo nel mio angolo di disperazione. Calma! Calma e sangue freddo! In fondo, è solo un problema di geometria, ne ho risolti a migliaia, anche di più difficili. Manca ancora più di un’ora alla campanella. Un imperativo: ripartire da capo, dall’enunciato del problema. Uno scarabocchio gigante e rabbioso annulla le operazioni effettuate fino a quel momento, prendendo per buono solo il disegno della figura geometrica, che è venuto piuttosto bene. Rileggo il testo con attenzione. Analizzo la figura ed i dati a disposizione. Niente di nuovo. Alzo la testa verso la cattedra. Lei sta sfogliando una rivista, distoglie lo sguardo ceruleo che compie un rapido giro sulle teste chine dei suoi ragazzi. M’individua, assorto nella ricerca di una soluzione dell’arcano. Gli angoli della sua bocca si curvano verso l’alto in un aperto sorriso ed il temuto sguardo austero di qualche minuto innanzi, a dire il vero inevitabile, si è magicamente dileguato. Una lampadina si accende nella mia testa come all’Archimede Pitagorico dei noti fumetti di Walt Disney. Per l’ennesima volta, scompongo mentalmente la figura, ma questa volta percepisco che è quella buona. Per la superficie totale basta considerare un quadrato come base inferiore, un trapezio isoscele come base superiore, altri due trapezi isosceli e due trapezi scaleni per la superficie laterale. Il calcolo del volume è un po’ più complesso: tronco di piramide tagliata da un piano orizzontale e, sulla vetta, un parallelepipedo a base triangolare e due piramidi, anch’esse a base triangolare. Le jeux sont fait. Trasferisco sulla carta l’elaborato mentale e ritrovo la serenità. Sento su di me lo sguardo di Feo, che forse ha già finito. Mi volto verso di lui e faccio l’occhiolino: si avvede che ho finalmente trovato la soluzione ed agita il pugno in cenno di vittoria. Quasi all’unisono consegnamo gli elaborati e mi sciolgo allorché la prof mi chiede:
«È passata, la crisi?» Si è accorta di tutto. Non finisce mai di stupire. La rimpiangerò.
La ripago con un laconico: «Si!» dopodiché salutiamo ed usciamo dall’aula.
Percorrendo il corridoio e poi, scendendo le scale, confrontiamo, a memoria e con soddisfazione, i risultati dei vari esercizi: torna tutto alla perfezione. Franco, stavolta, è ancora in classe: lo aspetteremo sul piazzale. All’uscita alcuni dei nostri compagni fanno crocchio e sembra che il compito sia andato abbastanza bene per tutti. Qualcuno si lamenta per errori di calcolo, ma i procedimenti dovrebbero essere azzeccati. Passa un quarto d’ora e Franchino appare sul portone letteralmente stravolto. I suoi rapporti con la Matematica sono sempre stati di amore-odio e mi sa che oggi ha prevalso l’odio. Inizia a raccontare le difficoltà incontrate e, man mano che spiega, gli confermiamo che ha seguito i ragionamenti giusti. Ripresa fiducia, confronta i suoi risultati con i nostri e, a parte un “virgola qualcosa” nel volume della piramide maledetta, sembra che tutto collimi. Quasi inconsapevolmente, ha risolto in maniera corretta tutti gli esercizi. Non è nel suo carattere, ma se lo fosse, ci bacerebbe, come se il merito fosse nostro. …e due!
Il fedele autobus verde si affaccia all’angolo del fabbricato, salutiamo i compagni e ci avviamo alla fermata, saliamo ed i commenti sul compito proseguono ininterrotti. Oggi siamo molto più euforici. Potenza della matematica!
Dopo pranzo è previsto il ripasso definitivo per la prova di lingua straniera. Chissà la zoppetta che cosa ha in serbo per noi, nella prova di domani. Il pomeriggio e la sera scorrono in maniera lineare.
Stamattina, sull’autobus, i soliti musi lunghi e assonnati. Sembra di andare al patibolo.
Arriviamo in classe, ma la signorina ancora non c’è. Non è un bell’esempio per gli studenti, ma può succedere. Il Preside la sostituisce temporaneamente e dà inizio alla cerimonia d’apertura della busta contenente la prova di Francese. Non ha finito di aprire la busta che percepisco un passo lesto, ma irregolare, proveniente dal corridoio ed in breve la prof, ansimante e con la mano destra al petto, appare sulla porta dell’aula. Si scusa con tutti ed in particolare col “Signor Preside”, come lo chiama lei, ma un’avaria alla sua vecchia Peugeot, un macinino d’ante guerra, ha provocato questo piccolo ritardo.
È, come al solito, ipertruccata per mascherare le rughe di una veneranda età: chili di fondotinta, capelli abbastanza corti e ricci, tinti di un nero corvino da far invidia alla Moira Orfei, una catena al collo che se fosse d’oro costerebbe l’ira di Dio ed un paio di orecchini giganteschi, anch’essi d’oro o dorati, completano la fotografia della nostra Mademoiselle de Francais.
Il preside si allontana silenziosamente dalla cattedra e, altrettanto silenziosamente, esce dalla stanza.
«Le bonjour à tous le monde et au excusé ancor mon retarde. Je veux présager un bon examen de Francais à vous, espérant que vous tous êtes recalé, et une bonne continuation dans les votre études.»La solita ramanzina di non copiare, non disturbare eccetera, eccetera, eccetera e finalmente si va. Il testo, questa volta, è su fogli ciclostilati e ci viene consegnato, coperto, personalmente dalla prof che zampetta tra le file di banchi. Quando tutti abbiamo la nostra copia e due fogli protocollo a righe, il tutto guarnito dal consueto timbro in rilievo del Ministero competente, ci è permesso di prenderne visione ed iniziare a lavorare. La prima prova consiste nel partecipare, replicando in maniera adeguata, ad una conversazione durante una passeggiata, con un immaginario amico parigino, sul Boulevard Saint Germain, proprio a Parigi, descrivendo immaginarie vetrine di negozi, locali, stazioni della metropolitana, monumenti e tutto quanto si può incontrare nel quartiere latino, compresi mendicanti e, soprattutto, artisti di strada. Mi soffermo su una coppia che si esibisce nelle vicinanze di un multicolore chiosco di fiori. Nella mia descrizione, l’uomo, abbigliato con frac e cappello a cilindro, suona magistralmente il violino, mentre la ragazza, che impersona uno dei più classici Pierrot dalla faccia infarinata, asseconda la melodia con movenze plastiche ed armoniose.
Il compito prosegue con un’esposizione sulla caduta dell’Ancien Regime e la presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789.
E per finire, niente di più classico: Jean de La Fontaine: l’aquila e la civetta, la cicala e la formica, il lupo e l’agnello, il congresso dei topi, insomma un commento circostanziato sulle favole del de La Fontaine e le loro morali, con particolare riferimento agl’insegnamenti pratici che se ne possono trarre.
Insomma, noioso come non n’erano mai capitati prima! Strascico sul foglio protocollo la penna biro che asseconda fedele il movimento svogliato della mia mano destra e, tra un sospiro ed un sommesso lamento, raggiungo l’agognata conclusione del mio lavoro di oggi. Una rapida riletta e mi rendo conto che non è un gran che, ma decido di affidarmi alla magnanimità del collegio giudicante. La sufficienza dovrei raggiungerla comunque.
Non vedo l’ora di lasciare l’aula, per questo consegno senza aspettare che Feo completi la sua prova, chiedo l’autorizzazione alla prof e mi avvio verso la porta. Scambio un cenno d’intesa con l’amico, ancora chino sul compito, ed esco.
Piuttosto a terra, non tanto per la prova sostenuta, che peraltro dovrebbe raggiungere almeno la sufficienza, quanto per la noia suscitata dagli argomenti della prova stessa, scendo lo scalone e mi ritrovo sul piazzale della scuola. Il solito capannello dei compagni di classe circoscrive una disamina sull’operato di questa mattina e mi accorgo dello scarso entusiasmo che aleggia nell’aria. Evidentemente siamo concordi nel considerare la prova di lingua straniera scarsamente interessante ed ancor meno coinvolgente. Mi unisco all’avvilita compagnia in attesa che Feo e Franco ci raggiungano per intraprendere insieme il viaggio di ritorno a casa con il mitico torpedone protagonista del nostro andirivieni scolastico degli ultimi tre anni.
Sull’autobus, lo scoramento si placa gradualmente e, visto che la mattina successiva ci aspetta la prova di Educazione Artistica, indiscutibilmente poco impegnativa, decidiamo di prenderci un pomeriggio di pausa e concederci un po’ di svago.