sei di vada se...

domenica 1 luglio 2012

terzo 3 di 3



terzo 3/3
Giunto a casa, mangio in fretta, il tempo di cambiarmi e sento già le voci dei due compari che reclamano la mia presenza. Scendo le scale di corsa. Garage, bicicletta.
«Dove andiamo» – chiedo.
«Alle sabbie mobili del pontile!» – risponde Franco eccitato.
La zona erroneamente denominata “delle sabbie mobili”, in realtà, non è altro che una circoscritta fascia di spiaggia dove la larghezza della battigia raggiunge qualche decina di metri conferendo alla sabbia un aspetto acquitrinoso assolutamente poco consistente e cedevole al passo. Ai limiti della spiaggia, una piccola pineta. L’ampiezza dell’area è stata incrementata con gli anni, dopo la creazione di un bacino dove sono state depositate le sabbie di dragaggio del canale d’accesso al pontile. Il colore candido della sabbia e la presenza di dune, nella parte più vicina alla pineta, attribuiscono al paesaggio una fisionomia fantastica, al limite dell’irreale, capace di ghermire la fantasia di chi vi si avventuri con lo spirito di un ragazzino. In qualche punto si riesce ad affondare fino all’altezza delle cosce e la zona potrebbe essere pericolosa per bambini piccoli che vi si recassero senza la presenza vigile dei genitori, per questo è cautelativamente recintata con tanto di cartelli di pericolo. Noi riusciamo ad entrare facilmente grazie ad un buco nella rete di cinta scoperto tempo addietro. Solitamente ci facciamo risucchiare i piedi e le gambe dalle sabbie mobili nelle quali passeggiamo a lungo, saliamo sulle dune, vaghiamo sotto i pini… conosciamo la zona palmo a palmo. Come in una foresta boreale, immaginiamo liane che penzolano dagli alberi, gigantesche anaconde che sbucano dalle zone acquitrinose e salmastre, tribù di cannibali che c’inseguono minacciose ed imbastiamo avventure degne del miglior Salgari. Una volta che la fantasia ha dato lo spunto iniziale, ognuno aggiunge particolari avvincenti che permettono alla storia di nascere e compiersi nel breve giro di un pomeriggio. Ogni spunto, anche il più assurdo, viene preso in considerazione e colorito da espressioni razziate dalle pagine di romanzi di avventure per ragazzi. Ogni volta un episodio diverso. È passato quasi un anno dall’ultima volta che siamo penetrati nella nostra jungla personale e provo una certa emozione. Una breve ricerca e scoviamo il buco nella rete, entriamo. Pochi passi lungo un aspro viottolo tra i rovi e siamo pronti ad immaginarci una nuova vicenda. Finalmente giungiamo allo scoperto. Siamo disorientati: è tutto scomparso. Non ci sono più le dune, nemmeno le sabbie mobili, la pineta è pulitissima e le recinzioni sulla battigia sono state rimosse. È diventato un ordinarissimo tratto di spiaggia. Molto bello, niente da dire, ma insipido. Feo cade seduto ed incrocia le braccia appoggiandole sulle ginocchia piegate.
«Vi rendete conto?» – dice con disappunto.
«Dev’essere successo durante l’inverno.» – ipotizzo io.
«Quando ci siamo stati, l’ultima volta? Agosto o settembre dello scorso anno, vero?» – interviene Franco.
«Quelli del pontile hanno dato una bella ripulita!»
«Effettivamente, dal punto di vista estetico era uno schifo e piuttosto pericoloso, oltretutto.»
«Hanno raso al suolo il nostro set cinematografico.» – e mi incammino verso la battigia, prontamente seguito.
Effettivamente è stato fatto un buon lavoro. Logico che ci siamo rimasti male, era una parte di noi, ma ci rendiamo in fretta conto che era inevitabile.
Ci sediamo sulla spiaggia, rivolti verso il mare e, da una battuta all’altra, riprendono lentamente vita sprazzi delle storie partorite, in passato, dalla nostra fantasia in quel luogo per noi così importante. Tra un’imboscata d’agguerriti pigmei, un’estenuante caccia ad una tigre ferita ed il ritrovamento di un favoloso tesoro di pirati, il pomeriggio passa senza accorgersene ed il sole si avvicina all’orizzonte. Ritorniamo sui nostri passi soddisfatti, nonostante tutto. Attraversiamo di nuovo il buco, anche se abbiamo visto che la rete è ormai ridotta a poche decine di passi e sarebbe più comodo aggirarla, ed inforchiamo i mezzi di locomozione che ci trasporteranno alle rispettive abitazioni.
Nell’aula d’Educazione Artistica l’insegnante distribuisce, ad ognuno di noi, un quarto di cartoncino Bristol, gentile concessione del Ministero della Pubblica Istruzione. Il tema da rappresentare è già scritto alla lavagna. “Estate!”. Niente di più vago. Mi viene in mente una delle spiagge della nostra zona, piena d’ombrelloni, affollata di turisti che prendono la tintarella, bambini che giocano a pallone, che fanno castelli di sabbia, gente che si tuffa ma la complessità della rappresentazione mi consiglia di ripiegare verso qualcosa di più sobrio. Nel mio immaginario prende corpo un campo di grano con un paio di purpurei papaveri in primo piano ed uno spaventapasseri, sulla destra, a guardia del raccolto. Un filare d’ulivi secolari in secondo piano, sulla sinistra del foglio, una verde collina sullo sfondo ed un paio d’uccelli che si librano nel cielo azzurro, completano il mio capolavoro. Penso che la scelta dei pastelli ad olio sia stata azzeccata, particolari e sfumature risultano plasmati in maniera soddisfacente ed alle undici e venti, in clamoroso anticipo, consegno il disegno ritenendomi soddisfatto. Sono stato uno dei primi e noto che Feo è ancora intento nella realizzazione della sua opera d’arte: intravedo la spiaggia, il mare, qualche ombrellone. Scambio due chiacchiere con il prof che, al solito, si dimostra molto disponibile ed alla mano e si lascia sfuggire un commento favorevole nei confronti della mia tavola: la considera un po’ troppo essenziale ma in tema con il titolo proposto e ben rappresentativa. Chiedo il permesso di uscire. Permesso accordato. “Feo, sbrigati.” – lo sollecito col pensiero.
Mattinata totalmente rilassante, niente a che vedere con quello che si profila sull’orizzonte della settimana prossima.
Nella sequenza delle interrogazioni sarò uno degli ultimi, ed il programma prevede che venerdì prossimo sarà il mio turno, mentre Feo se la sbrigherà con ventiquattro ore d’anticipo.
I giorni passano inesorabili e la preparazione per l’esame procede a ritmo spedito, ormai mancano solo gli ultimi ritocchi. Una pausa domenicale ci consente di ritrovarci alla spiaggia con gli amici del paese e rinfrancare l’intelletto dalle fatiche di questo micidiale tour de force. Siamo una quindicina in tutto, in maggioranza ragazzi: due calci ad un pallone, una nuotata nel mare pulito che rinfresca dalla calura e qualche minuto disteso al sole ad occhi chiusi con le braccia incrociate sotto la nuca. La sabbia finissima e tiepida si plasma sotto l’asciugamano in seguito alla pressione esercitata dal mio corpo. Un’ombra mi copre parzialmente l’astro luminoso.
“Sarà un aquilone” – immagino.
Non si sposta. Apro gli occhi. Martina si è seduta accanto a me con le gambe raccolte, ha appoggiato la mano destra sul bordo dell’asciugamano, dalla parte opposta, facendo ponte sopra di me col proprio corpo e mi guarda. Senza proferire parola, con l’altra mano strizza le punte dei capelli lunghi e bruni affinché l’acqua salmastra goccioli sul mio ventre all’altezza dell’ombelico, dove si forma una minuscola piscina. Nella suggestiva immagine generata dal controluce mi accorgo d’inquadrare la figura di Martina in una cornice diversa dal solito. Che novità è questa? Martina: amica d’infanzia, vicina di casa, compagna di giochi. A scuola nella stessa classe per tutte le elementari. Martina: occhi grandi, ciglia lunghe, iridi castane, viso ovale, collo slanciato. Sull’esile corpo indossa solo un bikini turchese bordato di bianco, che spicca sulla pelle il cui colore ricorda la nocciola, e non solo per l’abbronzatura. Una corta catenina d’argento oscilla tra il mento e la base del collo, e culla ritmicamente il mio sguardo come un’altalena.
“Ma guarda quant’è cambiata!” – è la prima cosa che mi viene in mente.
Senza che me ne sia accorto, la bambina che conoscevo è stata rimpiazzata da una graziosa signorina. Mi piace! Non mi sembra il caso di domandarmi il perché prendono corpo certe situazioni ed esito nell’attesa di una nuova mossa. Martina si china e, con mia gradevole sorpresa, appoggia la bocca sulla mia guancia sinistra in un tenero bacio. Si tira su e continua a guardarmi. Ricambio con una carezza che lei dimostra di accettare con piacere. Asseconda l’iniziativa nel chinare la testa da una parte, finché la sua guancia occupa pienamente l’incavo del palmo della mia mano semiaperta. Mi metto seduto e continuiamo a guardarci. Il resto della banda sembra ignorarci, almeno finché rimaniamo seduti ma, come ci alziamo in piedi, la spiaggia si ferma ed un riflettore ad occhio di bue punta inesorabile su di noi ergendoci a protagonisti di un’imprevista e magica rappresentazione. Gli altri ci adocchiano e sorridono maliziosi, ma chi se ne importa. Il sole volge al tramonto, quando decidiamo di rivestirci ed incamminarci verso casa. Lungo la via del mare ci teniamo candidamente per mano e scambiamo le impressioni sulla giornata appena trascorsa, senza cercare spiegazioni per quello che è successo tra noi. È stato così naturale! Il resto del gruppo urla e schiamazza come al solito, con Feo e Flipper che dirigono le operazioni. Alla spicciolata il gruppo si assottiglia e, in piazza, anche noi due ci dirigiamo verso casa. Prima di voltare l’angolo che ci porterà sulla via dove si affacciano le nostre abitazioni, spontaneamente mi arresto e Martina fa altrettanto, faccio in modo che rivolga lo sguardo verso di me finché le bocche si sfiorano in un innocente e fuggevole bacio a labbra socchiuse. Un brivido mi percorre fulmineamente la schiena. Sorridiamo felici. Pochi passi e la lascio al cancello del giardino di casa sua. Ci salutiamo come se niente fosse, con l’intento di nascondere i nostri sentimenti ad occhi curiosi ed indiscreti di pettegole comari che sbirciano da dietro le tendine delle finestre.
Nei giorni successivi, mio malgrado, sono costretto a dedicarmi agli esami anima e corpo ed anche gl’incontri con Martina sono meno che saltuari. Lei ha la prova orale mercoledì e, quindi, si toglierà il dente prima di me. Tre giorni di fuoco: mercoledì Martina, giovedì Feo, venerdì io.
Venerdì. Sull’autobus che mi porta a scuola penso a Martina, che mi ha raccontato di aver fatto una buona figura e questo mi solleva. È confortante che anche Feo si sia comportato bene. Alle dieci e un quarto entro nell’aula dove i professori sono schierati dietro una diga di banchi disposti a ferro di cavallo. Sonia sta sostenendo l’esame, mi siedo ed ascolto, con piacere, che se la sta cavando egregiamente. È tra le grinfie di quella di Francese: dovrebbe essere agli sgoccioli. Pochi minuti e la Rossa, che occupa la postazione più a sinistra, m’invita ad accomodarmi sulla sedia di fronte a lei:
“…Ma come, Sonia non ha ancora finito” – mi lamento mentalmente con me stesso. Le mie facoltà intellettive subiscono un temporaneo black out dal quale, per fortuna, mi riprendo prontamente.
Omero, Calvino, Marinetti: le domande spaziano nell’ambito del vasto programma d’Italiano. Dopo un’esposizione caratterizzata da alterne fortune, passiamo alla Storia: Fascismo, Seconda Guerra Mondiale, Patriottismo e fondazione della Repubblica. Sono leggermente in affanno. Si passa a Geografia: Canada. Niente male!
«Per me può bastare!» – annuncia, annotando qualcosa su un registro aperto. Sospiro.
Sposto il mio raggio d’azione un metro verso destra dove la mia prof preferita sta piazzando i paletti per uno slalom gigante, tra un teorema, un corollario, parallelepipedi, coni e formule varie, tra i quali mi destreggio piuttosto abilmente.
«Te lo lascio…» – dice rivolgendosi alla sua destra.
«Bonjour!»
«Bonjour a vous!» – rispondo io.
Si rammenta delle mie difficoltà sulle abitudini alimentari dei nostri cugini francesi, ma questa volta non ci casco e la sommergo a suon di croissant, soupe de asperges, viande a la grille, pate de foie gras, lapin, fromages e chi più ne ha più ne metta. Rispondo egregiamente ad una semplice domanda su Robespierre ed una su Place de l’Etoile, recentemente ribattezzata Place Charles De Gaulle, e cambio di nuovo la postazione.
Ho concretamente superato i valichi più difficoltosi e procedo spedito verso il traguardo. Le altre materie sono una pura formalità.
«Si accomodi pure!» – l’ultimo della fila, lo scultore, per esigenze di forma, mi congeda con un insolito lei, ma non rinuncia ad un’ilare smorfia del viso, accompagnata dalla mano destra chiusa a pugno con il pollice in alto in un rassicurante, esotico “OK”.
Raggiante scendo le scale di corsa ed esco sul piazzale dove, imprevedibilmente, Martina mi sta aspettando. I lineamenti del volto sono tesi, ma si distendono nel momento in cui nota la mia soddisfazione per aver finalmente concluso la faticaccia. Un attimo di comprensibile smarrimento, dovuto allo stupore di trovarmela di fronte, poi la gioia prende il sopravvento, lei mi corre incontro, io incontro a lei, mi salta al collo e la avvolgo in un vigoroso abbraccio che mi libera definitivamente dallo stress del periodo appena trascorso. Appoggia la fronte contro la mia, poi se ne distacca, mi guarda negli occhi:
«Finito?»
«Finito!» – replico io con un sospiro. E c’incamminiamo verso la solita pensilina dove il fedele autobus ci preleverà per condurci a casa.
Nei giorni che seguono assaporiamo i piaceri di un assoluto riposo, oziando, prevalentemente sulla spiaggia. Martina ed io ci scopriamo molto affiatati e, nel frattempo, c’è scappato anche il primo bacio vero, inesperto ma vero, insaporito dalle incertezze e dalle paure caratteristiche della giovanissima età. È successo l’altra sera, a mezzanotte, nella penombra del giardino di casa sua, a ridosso del grande tronco di un pino quasi secolare. Fantastico!
La mattina in cui vengono esposti i risultati, ci rechiamo in massa a scuola dove la bacheca è ancora vacante. Capannelli di ragazzi consentono d’individuare le varie sezioni e le facce dei protagonisti sono visibilmente più distese, dall’ultima volta che ci siamo visti. Anche Nanni è della partita, fedele fino all’ultimo alla terza “A”. Pochi minuti e la bidella apre il portone annunciando di aver appeso i quadri con i risultati: la ressa è generale. Mi faccio largo a spintoni cercando di proteggere anche l’avanzata di Martina che, di statura poco più bassa della mia ma di corporatura minuta, rischia di essere travolta nel pigia-pigia generale. Frugo con lo sguardo all’interno della bacheca alla ricerca del tabulato riguardante la terza “A” e finalmente lo trovo. Scorro l’elenco: eccomi. Buono! Il giudizio non è come mi aspettavo, ma va bene lo stesso. Forse la prof d’Italiano non ha apprezzato l’iniziativa del novello pubblicitario, o forse non mi sono espresso bene nella prova di Francese. Escludo a priori la possibilità di un qualsiasi errore a Matematica.
Neanche Feo sembra soddisfatto del giudizio ricevuto, identico al mio, mentre Martina si gode beatamente il suo Ottimo che ha rispettato in pieno le previsioni. Entrambi, comunque, concordano con me che, qualunque sia stato il risultato, è andata, ed è la cosa più importante.