sei di vada se...

domenica 28 ottobre 2012

quarto 1 di 2

Quarto 1/2
Pochi giorni di vacanza mi separano dal mio primo giorno di lavoro stagionale presso il piccolo albergo di un amico di famiglia a due passi dal mare, confinante con la pensione dello Zingaro.
Me la spasso con la solita combriccola ma soprattutto con una Martina radiosa e piena di energia. Di giorno sulla spiaggia o la sera al piccolo Luna Park allestito nelle vicinanze del mitico campino: è sempre all’altezza della situazione ed inventa tenerissime coccole, quando ci concediamo qualche momento d’intimità.
l'ultima notte di quiete, cinema estate, vada, spiaggia, mareSull’arenile della spiaggia libera in fondo alla Via del Mare, nell’aria calda di un pomeriggio di fine Giugno, approfittando degli ultimi giorni in cui l’affluenza dei turisti è ancora scarsa, abbiamo imbastito una partita di calcio all’ultimo granello di sabbia: Feo, Franco, Antonio ed io da una parte; Mimmo, Flipper, Massimo e Luca dall’altra. Delimitazioni del campo: nessuna. Le porte: gli zoccoli piantati nella sabbia. Una fatica indescrivibile, ma il divertimento è assicurato. Dopo i primi approcci in cui ci arrischiamo in palleggi, finte di corpo e schemi, che riflettono quanto appreso durante gli allenamenti invernali, iniziamo a perdere il passo, i rimbalzi della palla diventano imprevedibili sulle gobbe caratteristiche della spiaggia; ben presto l’agonismo prende il sopravvento sulla tecnica e ciò che era iniziato come una partita di calcio, assume sempre di più i connotati di un incontro di rugby. Le ragazze sono distese supine sugli asciugamani a prendere il sole, inizialmente disinteressate e, man mano, sempre più attratte dagl’inevitabili schiamazzi che si levano dalla furiosa ma pur sempre amichevole mischia. Le scorgo distese in avanti, ora, appoggiate sui gomiti, con le teste dritte che sorridono divertite. I dieci minuti che seguono trascorrono all’insegna del caos più completo, con un groviglio umano che si rotola sulla spiaggia noncurante della palla, primordiale scintilla di questo pirotecnico diversivo. Spossati ci accasciamo al suolo, con la pelle marcata da segni rossastri causati dalla colluttazione ed infarinati di sabbia bianca fin sopra la punta dei capelli: percepisco i finissimi granelli persino in bocca, tra i denti e dentro gli slip con un fastidio al limite dell’insopportabile. Con l’impeto violento di un’orda di barbari incivili, prendiamo la rincorsa verso il mare dove ci tuffiamo con un fragore che attira l’attenzione di gran pare dei frequentatori della spiaggia. Una nuotata purificatrice ritempra i nostri fisici spossati dall’immane quanto inutile fatica. In acqua, mi tolgo lo slip provvedendo ad una copiosa risciacquata per liberarmi dai fastidiosi granuli insinuatisi tra le pieghe del costume e la mia pelle sudata. Mi ricompongo e raggiungo nuovamente il campo base. Le ragazze, sui teli di spugna colorati, volgono ancora la schiena al sole ed alla riva del mare e non si accorgono del mio arrivo: dalla mano, faccio sgocciolare un po’ d’acqua sulle spalle di Martina che si volta di scatto in risposta ad un improvviso brivido. Mi scruta con sguardo artificiosamente arcigno ed io mi corico sul suo stesso telo in attesa di una reazione che non tarda a manifestarsi. Prende un pugno di sabbia e minaccia d’infarinarmi un’altra volta, ma poi ci ripensa e mi rifila un minuscolo morso sul naso. Si corica di nuovo, questa volta sulla schiena, io mi isso sul gomito sinistro, appoggio la testa sul pugno chiuso, mi soffermo pochi istanti a contemplare il fiore che mi sta di fianco e le accarezzo il collo con il dorso delle dita ancora fredde e parzialmente avvizzite dal recente bagno in mare. Mi accorgo di un sottile brivido che percorre la sua epidermide, confermato dalla caratteristica pelle di gallina che su di lei assume sembianze incantevoli, e mi accingo a sedare prontamente il fremito con un bacino alla base del collo, nell’accattivante incavo tra le due clavicole. La pelle buccia di pesca ritorna liscia e vellutata destando in me irrequieti impulsi assolutamente fuori tempo e luogo, che difficoltosamente riesco a pacare. Mi distendo e catturo la sua mano destra con una stretta vigorosa che placa in parte le smanie recentemente stimolate.
Poco dopo si alza, distinguo la sua esile silouette in controluce, mi tende le mani alle quali mi aggrappo per tirarmi su ed abbandoniamo temporaneamente il resto della compagnia per una rilassante passeggiata sulla battigia con il mare alla nostra destra. Valichiamo la diga di scogli che si protende in mare e raggiungiamo un tratto del lungomare scarsamente frequentato. La striscia di spiaggia fuori del paese è deserta di questi tempi e, prefigurando l’imminente invasione turistica, ce la gustiamo tutta per noi. I sempreverdi cespugli di tamerici, a pochi passi dalla battigia, coprono la visuale dei campi circostanti e circoscrivono il paesaggio conferendogli una certa riservatezza. Mi saltella intorno elettrizzata, mi schizza prendendo a calci l’acqua bassa, ed io faccio altrettanto, poi mi corre incontro, prende le mie mani nelle sue, si accosta:
«Andiamo al cinema, stasera?» – mi chiede – «Danno un film che vorrei vedere con te.»
«Perché no!» – replico io – «Ogni tuo desiderio è un ordine!». Si abbuia in faccia e prende le distanze, con le mani che si perdono.
«Io non ordino niente, se non ti va, ci vado da sola e tu puoi pure uscire per conto tuo!» – replica risentita.
“Che cosa ho detto di tanto orribile?” – penso dispiaciuto – “mi sembrava una cosa carina mettermi a disposizione dei suoi desideri. È quello a cui aspiro di più, in questo momento”.
Ha messo il broncio. “Ma perché?” – continuo a rimuginare.
Mi avvicino e faccio per prenderle il mento tra le dita, ma mi sfugge con uno scatto risoluto della testa. Ha portato le mani dietro la schiena e cammina con gli occhi bassi con i lunghi capelli che celano, al mio sguardo, il visino crucciato. La nostra prima litigata. Non è possibile, per un motivo così futile.
Cammino al suo fianco in silenzio: la guardo, ma lei non alza la testa e, ogni tanto, da un calcio ad una di quelle palline spugnose composte d’alghe rinsecchite che si trovano spesso sulle nostre spiagge, facendola rotolare lontano. Cerco di afferrarla per mano, ma mi evita di nuovo con una scrollata dell’esile busto. Segue qualche interminabile istante di silenzio assoluto, rotto solo dal cadenzato frangere delle onde e dall’urlo di un inopportuno gabbiano che vola verso il largo. Allungo il passo, la supero, mi volto, mi fermo di scatto davanti a lei e l’afferro deciso per le spalle inducendola a guardarmi:
«Che cosa ho detto di male?» – le chiedo determinato ma sereno.
Una fioca incertezza poi, mantenendo basso lo sguardo e con una vocina che mi riempie di tenerezza, sussurra sommessamente:
«Se non vuoi venire al cinema con me, basta dirlo!»
«Ma io lo voglio.» – replico sbalordito – “le ho dato questa impressione?” – rimugino.
«Hai detto che è un ordine, agli ordini si obbedisce. Gli ordini non si eseguono spontaneamente: quindi lo fai controvoglia. Non hai nemmeno voluto sapere di che film si tratta.»
«Hai equivocato. Ho solo preso in prestito un modo di dire. Volevo che tu sapessi che ogni tuo desiderio è un mio desiderio. Non m’interessa di che film si tratta, voglio solo passare la serata insieme a te. Io vado al cinema, se tu vai al cinema, faccio una passeggiata se la fai anche tu e scalo il Monte Bianco se tu lo vuoi. Non abbiamo mai litigato da quando ci conosciamo, praticamente dalla nascita, ed ora che ci siamo riscoperti in questa nuova meravigliosa ottica, vogliamo bisticciare per una stupidaggine? Non sia mai!»
Alza lo sguardo, mi fissa occhi negli occhi ed il broncio sta già dileguandosi gradualmente, mentre, adagio, si scioglie tra le mie mani ed io allento la presa.
«Io sono felice, quando tu sei felice!» – concludo.
Mi getta le braccia al collo, accosta il suo corpo al mio ed appoggia la fronte al mio mento, ancora con gli occhi bassi, mentre le cingo con le mani la sottile vita. Un minuto di sensazioni impareggiabili, poi, all’improvviso, si discosta mi ghermisce la mano e mi trascina in mare correndo e sollevando spruzzi tutt’intorno. Mi si avvinghia di nuovo al collo e mi trascina sott’acqua con forza, riemergo e non ho neanche il tempo di respirare che mi tappa la bocca con un bacio mozzafiato. Siamo entrambi un’altra volta completamente sommersi. Emergiamo tra la schiuma generata dai nostri stessi incontrollati movimenti. Il suo viso è di nuovo raggiante. La nuvola passeggera, foriera di pioggia e di tempesta, si è sollecitamente dissolta, per fortuna, lasciando il campo ad un sole sfolgorante. La mia Martina, quella vera, ha preso di nuovo il sopravvento. Mi accorgo che non è bello litigare, ma è fantastico riconciliarsi.
Il cinema all’aperto, allestito per la stagione estiva, è una delle poche attrazioni serali del paese. I film non sono, ovviamente, di prima visione tuttavia, pur di non bighellonare per la piazza, una serata al fresco fa sempre piacere, specialmente se in buona compagnia.
Alle nove e mezzo di sera è prevista la proiezione di La prima notte di quiete, con Alain Delon, idolo incontrastato delle donne: quasi una prima visione, vietato ai minori di 14 anni ma questo non è più un problema.
Esco di casa e, per le scale, mi compiaccio dei miei jeans leggeri e della camicia a righe verticali sottili bianche e blu. Immancabile il golfino arrotolato e legato, per le maniche, al di sopra dei fianchi. Apparentemente come al solito, passo a prendere Martina poco prima delle nove. Suono il campanello del giardino.
«Scendo subito!» – risponde una voce argentina attraverso il citofono. Pochi secondi e sbuca dal portone sul pianerottolo delle scale esterne.
Chissà che effetto le fa vedere le espressioni, probabilmente grottesche, che la mia faccia assume allorché la osservo, inebetito, scendere le scale senza toglierle gli occhi di dosso. Se i suoi sono alla finestra ed anche loro hanno notato tutto ciò, ho messo seriamente a repentaglio la riservatezza dalla nostra innocente relazione. Un paio di sandalini bianchi col tacco basso, una gonna corta azzurra mette in evidenza le gambe affusolate e dritte, una maglietta aderente bianca e azzurra si modella gradevolmente sui delicati lineamenti del busto, un golfino di cotone bianco spenzola, accuratamente piegato, sull’avambraccio destro, mentre la mano sinistra scivola lievemente sulla ferrea ringhiera nera, la solita catenina d’argento ed i capelli raccolti in una lunga e folta coda di cavallo. Dalla spalla destra penzola una borsetta di tela bianca.
«Che vado a fare al cinema, è questo il mio film.» – le sussurro intanto che c’incamminiamo verso la piazza all’appuntamento con il resto della ciurma.
Mi sferra un buffetto al fianco destro, accompagnato da un risolino ironico, con la punta della lingua che fa capolino tra i denti bianchissimi. Salutata l’allegra brigata, ci avviamo verso il Viale Italia accompagnati dalla solita festosa cagnara degli amici più vivaci, capitanati da un Flipper in forma sfolgorante. Feo, stasera, è più calmo, intento com’è a prestare mille attenzioni a Fulvia, una nuova amica, piuttosto carina, che si è unita da poco al nostro gruppo.
Il cancello del cinema è già aperto. Una coda di una quindicina di persone si snoda di fronte alla cassa, attendiamo il nostro turno e, quindi, ci dirigiamo all’ingresso dove la granitica Clelia, dall’aspetto alquanto mascolino, strappa i biglietti e ci fa accomodare. La ghiaia a grana grossa crepita sotto le scarpe nel cammino che dal cancello ci conduce alla platea. Le file di poltroncine verdi a stecche di legno sono separate da un corridoio longitudinale e due trasversali a formare sei settori ben definiti. Ci distribuiamo su tre file del settore di sinistra più lontano dallo schermo sistemandoci quattro o cinque per fila. Martina è alla mia sinistra e siamo seduti nell’ultima delle tre, l’ideale per controllare le manovre all’interno del gruppo. Fulvia è seduta di fianco a Martina e Feo accanto a Fulvia per completare lo schieramento. “Chissà se, con l’aiuto della penombra del film, Feo metterà in atto qualche tentativo di seduzione. Fulvia gli piace molto e mi sembra che anche lui non le sia del tutto indifferente.” – mi viene da pensare. Mi sporgo in avanti e colgo lo sguardo di Feo che si sporge a sua volta, sorrido e gli faccio l’occhiolino. In certe situazioni l’orologio che controlla i nostri riflessi è perfettamente sincronizzato e c’incontriamo sempre ad ogni appuntamento, anche se improvvisato, come in quest’occasione. Risponde nello stesso modo ed aggiunge un sorriso beffardo.
…Continua