Quinto capitolo, terza e ultima parte
Il pomeriggio
trascorre sereno, pochi rimasugli dell'avvilimento della mattina si dissolvono
presto sul volto di Martina. Facciamo il bagno, giochiamo a palla tutti
insieme, imbastiamo combattimenti cavallo e cavaliere con le ragazze sulle
spalle, seguiti da inevitabili cadute in acqua con tanto di spruzzi e schiuma
tutt'intorno. Una nuotata al largo, fino alla diga di massi, dove scoviamo uno
scoglio pianeggiante, più appartato degli altri, al riparo da sguardi
indiscreti: ci concediamo alcuni minuti di intimità durante i quali non ci
risparmiamo calorose dimostrazioni d'affetto, ad occhi socchiusi, al caldo sole
pomeridiano. Un tuffo ed
una nuotata raffreddano gli adolescenziali ardori
prima di ricongiungerci con lo stuolo di corpi amici distesi sulla sabbia.
Usciamo grondanti dall'acqua, mano nella mano e subito li imitiamo. Il tempo di
asciugare e, prima delle sei, con il sole ancora alto nel cielo, sono costretto
ad abbandonare la compagnia, consigliando a Martina, che vorrebbe seguirmi, di
rimanere ancora un po' con gli altri, visto che, in ogni caso, non potremo
stare insieme dovendo andare a ritirare il tanto atteso motorino. Acconsente.
Raggiungo
velocemente la bicicletta appoggiata al muro dell'Ippocampo, sistemo l'asciugamano sulla sella di cuoio nero e
sfreccio impaziente verso casa dove trovo mio padre che mi attende sulla soglia
del cancello.
«Alla
buon'ora!» - mi rimprovera - «Il tuo motorino sarà già stato venduto a qualcun
altro.»
Ripongo in
tutta fretta la bici in garage, passo l'asciugamano dalla sella al sedile della
macchina e salgo, col costume ancora umido. La vecchia fidata Opel Kadett
verdolina del sessantatré ci porterà dal concessionario del paese vicino e,
nonostante abbia dovuto già sottostare ai miei primi stentati approcci con la
guida, sull’aia di parenti che abitano in campagna, se la cava ancora bene.
Partiamo. Una rapida sosta all'ufficio dell'Assicurazione per ritirare il
tagliando e la Polizza poi, nel breve tragitto che ci separa dal
Concessionario, mio padre indaga garbatamente sul mio modo di impiegare il
tempo libero durante il giorno, in spiaggia, o la sera. Egli lavora tutto il
giorno e, specialmente durante l'estate, in cui è mia consuetudine uscire anche
dopo cena, ci vediamo per brevissimi momenti, durante i quali il tempo per
parlare è piuttosto scarso. La conversazione cade inevitabilmente sul mio
prossimo impiego.
«Nessuno ti
obbliga a lavorare. Hai studiato fino a pochi giorni fa, oltretutto con lo
stress degli esami. Quella è la tua attività, se vuoi riposarti, è un tuo
diritto.» - mi suggerisce.
«Nessun
problema!» - rispondo sereno - «Ho scelto io di provare la difficoltà del mondo
del lavoro. Voglio vedere di che cosa sono capace, senza contare che, come ben
sai, mi fa piacere essere abbastanza indipendente dal punto di vista economico.
Probabilmente sarà dura, ma mi farò una bella esperienza. Spero solo di avere
un po' di tempo libero nel pomeriggio o la sera, sai, i ragazzi, la compagnia…
un po' di svago…»
«…Martina…» -
sornione
«Che centra
Martina, ora?»
«Niente,
facevo così per dire. È molto carina, ha la tua età, è una brava ragazza, vi
vedete spesso…»
«Beh! Se
bastasse solo questo ci sarebbero anche Isa, Fulvia, Tania e le altre. Dovrei
fare la corte a tutte?»
Fortunatamente,
nel frattempo, siamo giunti dal Concessionario dove il mio due ruote è in
mostra sul piccolo piazzale antistante la vetrina. Lascio il discorso sospeso a
metà e scendo precipitosamente dall'auto catapultandomi nei pressi dell'oggetto
dei miei desideri: rosso fiammante con piccole rifiniture gialle sul serbatoio
sfaccettato, i parafanghi, i cerchioni delle ruote, il manubrio e la
piattaforma appoggia-piedi cromati, gli ammortizzatori ed i fanali neri ed una
banderuola, anch'essa rossa, sul culmine del parafango anteriore. Ed è mio. Ci
raggiunge Renato, il titolare nonché meccanico della concessionaria, abbigliato
con una tuta che originariamente doveva essere blu, ma che ha assunto una
colorazione indistinta tendente al piuttosto sporco:
«Guarda che
non è il tuo!» - mi comunica perentoriamente col vocione da baritono pulendosi
le mani bisunte di grasso con uno straccio altrettanto bisunto
dall'indefinibile colore - «Il tuo non è ancora arrivato, ma non ti
preoccupare, oramai è questione di pochi giorni.»
Deluso mi
rivolgo verso la macchina dove mio padre sta scendendo e non mi sfugge un suo
rassicurante sberleffo.
«Comunque, se
intanto vuoi fare un giro di prova, te lo concedo.» - continua Renato.
«No non mi
va!» - sto al gioco - «Se è questione di giorni, oramai aspetto di esserne il
legittimo proprietario. Come posso accontentarmi di un giretto!» - e mi avvio
verso l'auto.
Renato
comprende che ho mangiato la foglia e mi affida le chiavi sorridendo
compiaciuto:
«Toh! È tutto
per te.» - conclude con le istruzioni e le raccomandazioni di rito - «Miscela
al cinque per cento. Per i primi mille chilometri, non pretendere prestazioni
elevate e, dopo, fai in modo di raggiungere gradatamente il massimo della
velocità. Ricordati: sostituire il carburatore con uno maggiorato oppure
applicare lo scarico ad espansione aumenta il rendimento, ma non è consentito
oltre a risultare dannoso per il motore. Se proprio non resisti alla tentazione
di elaborarlo, alla fine del periodo di rodaggio, vieni da me che c'inventiamo
qualcosa di lecito. Il libretto di circolazione è nell'astuccio per gli
utensili, sotto la sella, entro un mese ricordati di pagare la tassa di
circolazione, agli uffici dell'A.C.I., esponi il tagliando dell'Assicurazione
e, soprattutto, vai piano!»
Ringrazio
Renato. Non sto più nella pelle.
Sbrighiamo le
ultime formalità, il babbo provvede al saldo dopodiché, una pedalata, il rombo
del motore e, lui avanti con l'auto ed io dietro novello centauro, riprendiamo
la via di casa.
Davanti al
giardino, l'auto si appresta ad affrontare il cancello, rimasto aperto, per
entrare nel vialino piastrellato e, di conseguenza, in garage ma io mi soffermo
soltanto e grido, in direzione di mio padre:
«Vado a fare
un giretto!» - e tiro di lungo mentre in lontananza sento un: «Vai piano!» -
dalla voce di mia madre che ci attendeva sulla soglia. Dalla frenesia non l'ho
neppure notata.
Passo di
fronte al giardino di Martina dove sua madre accudisce i fiori, ma noto che non
è ancora rientrata dal mare quindi proseguo in direzione di casa di Fulvia
percorrendo a ritroso l'usuale percorso. Svolto due volte a sinistra e,
puntuali, vedo le due signorine che mi vengono incontro sulle rispettive
biciclette modello Graziella, molto
in voga ma soprattutto molto pratiche per le dimensioni ridotte. Feo, alla
sinistra di Fulvia, le accompagna premuroso. Procedono lentamente e parlottano
tra loro, mentre lui si accorge di me ma tace nel notare che inverto la marcia.
"Se faccio il giro dell'isolato li prendo alle spalle, prima che giungano
a casa di Fulvia" - calcolo velocemente. Ritorno sui miei passi, transito
di nuovo di fronte a casa e mi accingo a svoltare l'angolo della via dove si
trovano loro. Li vedo. Procedo a mia volta lentamente, cercando di tenere il
motore al minimo regime per fare meno rumore possibile e m'infilo in mezzo alle
due ignare cicliste pressoché alla loro stessa velocità. Suono il cicalino.
Beeep!
L'improvvisata
provoca un sussulto in entrambe le ragazze che sbandano con le bici rischiando
seriamente la caduta rovinosa. Feo, logicamente, mi ha tenuto il gioco e non si
muove di un centimetro. In breve, nel riaversi, Fulvia e Martina percuotono
violentemente le mie spalle a pugni chiusi non risparmiando meritati improperi
al mio indirizzo; mentre ci fermiamo mi schermo come posso dalla piacevole
scarica di pugni e, dagli insulti, si passa gradatamente ai complimenti per il
mio nuovissimo fiammante cavallo d'acciaio. Feo scaraventa la bici a terra, mi
viene vicino e si complimenta con clamorose pacche sulle spalle:
«Beato te! Io
dovrò attendere ancora qualche giorno» - sospira con una punta d'invidia.
Gli
apprezzamenti si sprecano e, senza fretta, ci avviciniamo al cancello dove
Fulvia abbandona la compagnia non prima di confermare il ritrovo per le nove al
solito posto in piazza. L'amico ci saluta a sua volta e ritorna da dove siamo
venuti, in direzione della propria dimora, mentre due svolte a destra separano
me e Martina dalla strada di casa nostra. Adatto la velocità del motorino a
quella della bici di Martina: procediamo insieme e lei mi racconta quel poco
che è successo sulla spiaggia durante la mia oretta d'assenza. Il motore
squittisce, mentre le faccio un paio di giri intorno:
«Vuoi
fermarti? Mi fai girare la testa!» - mi chiede inebriata.
Giungiamo al
cancello, sua madre è già rientrata in casa, ma si affaccia dalla finestra
probabilmente attratta dal rumore, non ancora familiare, dello scarico della
mia motoretta. Guarda giù con un accenno di sospetto, poi mi riconosce e saluta
con la mano. Con Martina, ci guardiamo bene dal salutarci come vorremmo,
limitandoci ad un formalissimo: «ciao a dopo!»
«Passo io da
te!» - è l'ultima cosa che odo provenire dalla rampa delle scale.
«Va bene
ciao!» - e via col rombante mezzo.
Inforco il
cancello di casa, quando il mio biondo nipotino mi corre incontro di corsa
finendo a sgambettare tra le ruote del motorino e costringendomi a fare
particolare attenzione per non investirlo; si avvicina, lo prendo in braccio di
peso e lo sistemo, in piedi, sulla pedana centrale facendogli provare
l'ebbrezza per i due metri che ci separano dal marciapiede. Ride a squarciagola
soddisfatto ed i piccoli denti bianchi incorniciano le rosee mucose della bocca
e la lingua. Finalmente concedo a mia madre la soddisfazione che merita, mi
scuso per non averlo fatto prima e lei, comprensiva come sempre, si congratula
con me per la felice scelta dispensando apprezzamenti sul novello destriero a
motore. Infila una mano nella tasca del grembiule, ne estrae una medaglietta
con l'effigie della vergine col bambino e la assicura, con un fiocchino rosso,
sotto la sella in posizione pressoché invisibile. Anche mia sorella non
risparmia complimenti.
Parcheggio il
motorino in garage, tolgo le chiavi, lo copro premurosamente con un telo di
stoffa fine, probabilmente un vecchio lenzuolo smesso, che lo ripari dalla
polvere e, dopo aver chiuso a doppia mandata la porta, mi avvio per le scale.
Alle nove,
puntuale, Martina suona il campanello e mi verrebbe voglia di inscenare una
discesa da film, ma non ne sono capace, oltretutto è grande la smania di
rivederla e finisco per catapultarmi per le scale scendendole a tre per volta.
Un fulgido
sorriso accoglie il mio arrivo in giardino. Martina è abbigliata semplicemente,
con maglietta, jeans e scarpe da ginnastica. È splendida, ai miei occhi!
Percorriamo di corsa il vialetto del giardino, varchiamo il cancello e, sempre
correndo, svoltiamo la prima cantonata: è lì che si ferma di scatto, io, per
inerzia, percorro ancora un paio di metri, poi mi blocco e ritorno sui miei
passi, lei mi prende la testa con entrambe le mani e mi affibbia un sonoro
clamoroso bacio.
«Non resistevo
più!» - mi spiega - «Mi consolo con Venerdì, ma non è la stessa cosa» - ed
estrae lo scimmiotto dalla borsetta.
Proseguiamo verso il luogo
d'incontro con gli amici e la serata si svolge all'insegna della normalità.