sei di vada se...

sabato 23 luglio 2011

primo 1 di 3

la prima parte del primo capitolo

da giugno a settembre,vada,pro loco,spiaggia,terza media

Giugno ’72. Ridente località balneare al limite nord della Maremma Toscana. Una bellissima, immensa piazza, coronata da platani ed acacie secolari, è impreziosita da aiuole ben curate nelle quali risaltano fiori multicolori. Il busto bronzeo di Giuseppe Garibaldi sorveglia il paese dalla sommità di una stele di granito alta una decina di metri e, poco innanzi, il monumento ai caduti in candido marmo di Carrara a testimonianza del passaggio della Seconda Guerra Mondiale. A sinistra del busto una grande fontana allieta lo sguardo di paesani orgogliosi e di spensierati turisti con un alto zampillo che ricade in una vasca circolare a due piani, dove sguazzano pesci rossi e muggini degni di un acquario. Al crepuscolo giochi di luce di colore giallo, blu e rosso conferiscono allo zampillo una policromia che ravviva la già suggestiva fontana. La chiesa, dedicata a San Leopoldo, Granduca di Toscana, si erge austera all’estremità ovest della piazza dominandola e volgendo le terga alla Via del Mare, pellegrinaggio estivo di miriadi di villeggianti. In inverno tremilacinquecento abitanti il cui svago principale è di aspettare che venga l’estate. In estate, appunto, orde di turisti calano prevalentemente dall’hinterland Toscano, dal Nord Italia e oltre riempiendo vie, piazze, spiagge e negozi con la tipica allegria e spensieratezza della gens vacanziera. Un cinema all’aperto, una discoteca, alcuni bar, negozi di vario genere, due stabilimenti balneari, alberghi, pensioni, campeggi e pizzerie per lo più ad attività stagionale: il minimo indispensabile per una località di villeggiatura.
Le sette di sera. Manca meno di una settimana all’esame di licenza media. Doriano ha da pochi giorni terminato i routinari lavori di ristrutturazione che ogni anno precedono l’apertura del suo bar-pizzeria-tavola calda, preparandolo ad affrontare l’imminente stagione estiva. Precoci turisti, per lo più tedeschi in pantaloni corti color cachi e sandali di pelle che mettono in risalto gambacce varicose e lattiginose nonché piedi inguainati in calzini color topo, ordinano pizze e calzoni ai gusti più disparati. Salsicce, patate e cavolfiore. Gorgonzola, wurstel e melanzane. Frutti di mare, carciofi e cacio pecorino. Speck, mascarpone, cipolla e gli immancabili crauti. Birra a fiumi. Il forno scalpita e spalanca ansiosamente la bocca dalla quale s’intravedono lingue di fuoco smaniose per l’esordio stagionale.
I locali del bar e della pizzeria sono separati da un arco al quale sono appesi tramagli e vecchie reti, avuti in eredità da anziani pescatori locali, nei quali sono imprigionati inattendibili ma simpatici abitatori del nostro mare: due saraghi pizzuti, un’orata, un parago, tre o quattro stelle di mare un cavalluccio gigante, gusci di cozze, vongole e gangilli a iosa. I pesci sono rigorosamente di plastica, ma non sfigurano.
Sulla cappa del forno, in bella mostra, dominano due splendide valve di “nacchera” dal colore marrone rossiccio che sfuma in argento verso l’estremità più sottile. In mezzo alle valve della “nacchera” troneggia un’enorme margherita di mare arancione chiaro orgoglio di Lino-nero, il pescatore più simpatico. Un astice, dal tipico colore bruno-chicco-di-caffè-tostato, esibisce spavaldo le sue chele giganti e si arrampica sulla parete di fronte all’ingresso. Quadri e stampe di argomento marino sono appesi in ordine sparso sulle altre pareti.
Davanti al bancone del bar, vicino al frigo dei gelati, un juke-box tutto cromato, con la facciata di colore giallo e blu elettrico, dove le figure di due dischi 45 giri, umanizzati da un atteggiamento di ballerini di tip-tap, la fanno da protagonisti. È in perfetta forma ed attende impaziente di essere animato da cento lire sonanti, ricompensando con tre canzoni a scelta tra quelle del suo vasto repertorio.
All’esterno i tavoli sono piazzati sotto una pergola di vite americana e canne sottilissime efficace schermo per il sole, di giorno, o per l’umidità caratteristica di molte serate estive. Questo è il regno di Doriano, che zampetta qua e là tra pizze, coca cola e caffè, sempre col sorriso sulle labbra.
Due tipi ad un tavolo del bar, sotto il pergolato, ordinano un aperitivo. L’atteggiamento è quello giusto, anche se un po’ impacciato: jeans, cintura di tela, camicia aperta sul petto glabro, golfino di cotone attorcigliato alla vita, scarpe da ginnastica nuove-nuove ed immancabili occhiali scuri sulla testa. Barba, o meglio quel poco di peluria che c’è, appena rasata ed un profumino di Acqua Velva, gentile concessione del babbo, che è tutto un programma. Se non fosse che fanno poco più di 28 anni in due…
Doriano asseconda i giovanotti, ma non può trattenere un risolino sotto i baffi. Siamo noi. Due della terza “A” della Scuola Media Statale “Dante Alighieri”. Feo ed io. Amici inseparabili. Siamo compagni di classe fin dai tempi della Signora Zita, la nostra maestra della Scuola Elementare “Angiolo Silvio Novaro”. Feo s’incazza se lo chiamano Feo, ma io posso farlo. Stiamo aspettando il resto della banda, i nostri compagni della terza “A”. L’ultima cena o, per farla meno tragica, la cena di commiato prima dell’esame per la licenza media, è prevista per le otto al ristorante della pensione Edy gestita da Raimondo, detto lo Zingaro per le origini gitane, così si dice in giro, della sua famiglia.
Doriano ci porta due rigorosamente analcolici aperitivi da formula uno: rosso Ferrari. In ogni bicchiere una scorza di limone galleggia spavalda come una zattera gialla ai bordi della quale si abbarbicano velenosissimi coloranti come l’E-121 o il famigerato E-123 (quello del Rosso Antico, per intenderci). Una patatina, un’olivetta con lo stuzzicadenti, un sorso, un’altra patatina… che bello essere diventati grandi. Fino ad ieri Doriano ci avrebbe riso in faccia se le nostre richieste avessero oltrepassato il limite di un gelato ma oggi, eccoci qua, serviti e riveriti. Con tanto di portafoglio ricco di ben duemilacinquecento lire per poter discutere sul classico pago io…no offro io…
Clic-clic: C-8. L’indice di una mano esile danza sulla tastiera e seleziona sul juke-box I giardini di marzo di Battisti: le note si propagano discrete nell’ambiente circostante. I movimenti leggiadri delle dita affusolate carpiscono l’attenzione di uno dei due (che non è Feo).
I suoi occhi seguono il profilo delle unghie curate, della mano leggera sulla quale spicca un timido anellino ad adornare l’anulare. Polsi sottili, un braccialetto di corallini bianchi e rossi, leggerissima peluria bionda, quasi trasparente, sul braccio candido messo in risalto dalla manica corta della maglietta rossa. Un’onda leggera dei capelli castani, sottili come seta, è adagiata sulle aggraziate spalle di cui ricopre la parte superiore. Vita sottile, fianchi modellati e gambe slanciate in parte coperte da una gonnellina bianca corta, ma non troppo, stretta in vita da una cintura color corda a trama intrecciata.
Niente calze: “deve avere la mia età” – penso. Un metro e sessantotto, si e no. Un timido corpicino ancora coinvolto nel difficile processo di sviluppo che Madre Natura riserva agli adolescenti. Indossa scarpe da tennis, anch’esse bianche, con una piccola margherita disegnata su un lato. Il ginocchio sinistro, leggermente piegato, batte lievi colpi sul vetro frontale del juke-box, seguendo la melodia della canzone. Raddrizza la gamba, vi si appoggia e solleva armoniosamente il piede dell’altra gamba fino ad appoggiarne la punta sul pavimento riprendendo il ritmo dal punto in cui lo ha lasciato. Le scarpe sono nuove: la suola di gomma è quasi intonsa. Ora ha entrambe le mani appoggiate sulla cornice cromata del vetro superiore del juke-box, le dita arcuate in posa plastica, le braccia distese. Movimenti appena accennati del corpo assecondano la voce di Lucio Battisti e le note della canzone.  La testa minuta è china in avanti ed i capelli si muovono lievemente. Una ciocca scavalca la spalla sinistra, dietro la quale si nasconde, e copre a sua volta il già poco visibile volto. “Girati, per favore, ma che cosa ci sarà mai di tanto interessante sotto il vetro del juke-box.” – Vorrei dirle. Niente. Ha deciso di leggere i titoli delle canzoni di tutti i cartoncini colorati esposti in quella specie di rastrelliera.
Feo parla ininterrottamente dell’imminente cena con i compagni di classe, ma chi lo sente. Faccio cenno di sì con la testa, senza distogliere lo sguardo. Crede che io lo ascolti, ma per me è solo un fastidioso brusio: sta parlando praticamente da solo.
“Aspetta! Aspetta! Si sta voltando.”
Mi sembra di vedere la ripetizione di un gol al rallentatore. Con un movimento lieve ma deciso della testa si libera di una ciocca di capelli mostrando il faccino in tutta la sua radiosità. È vero, avrà più o meno la mia età. Mostra occhi grandi, castano chiaro, ciglia lunghe, il tutto armoniosamente incorniciato da sopracciglia ben marcate ma sottili. Nasino perfetto, piccoli denti bianchissimi fanno capolino dalle sottili labbra socchiuse. Un lievissimo rossore imporpora le guance magre conferendo al colorito pallido del viso, non ancora violato dall’abbronzatura estiva, una luminosità angelica. Un’impronta impercettibile di efelidi sul naso è come la classica ciliegina sulla torta. Bellina. Molto bellina. Una bambolina.
Ed io? Inebetito come un cammello senz’acqua in mezzo al Sahara: labbro inferiore sporgente, salivazione azzerata ed occhi a palla. Con quattordici anni di ormoni scalpitanti tenuti a freno da briglie di carta velina, cerco le parole giuste per rompere il ghiaccio, senza turbare l’atmosfera che si è creata (anche se, forse, solo nel mio immaginario).
Non sono mai stato un campione nell’approccio. Finora, nelle precoci occasioni in cui abbiamo fatto i cascamorti con ragazzine alla nostra portata, è stato compito di Feo. È lui il più sfacciato dei due. Quando ci proviamo con due tipe lui attacca bottone e poi…avanti insieme. Ma questa volta no, devo fare da solo. Lui non c’entra niente. Troppo carina, troppo graziosa, troppo delicata, troppo dolce, troppo attraente, troppo… troppo… troppo… troppo e basta.
Vediamo… vediamo: “Ciao, come ti chiami?”. No è banale. “Buonasera signorina…”. Troppo antiquato. “Posso offrirti qualcosa?”. Figurati, che gli offro a quest’ora un gelato? Noooo! “Ti piace Battisti!?!”. Che stupido! È ovvio che le piaccia Battisti, ha selezionato lei la canzone. “Come sei carina…”. Troppo diretto. “Sei da sola?” Niente da fare, non mi viene niente di adeguato. Accidenti! Come farebbe Feo? Ad un tratto…
Mi alzo, stringo in vita il nodo del golfino, il rosso Ferrari nella mano sinistra, perfetto…
il carretto passava e quell’uomo gridava: gelati…
«SEME, NOCCIOLINE, CARAMELLEEE…..»
È lui, non può essere che lui, l’inopportuno per eccellenza. È una canzone così dolce, una colonna portante della musica italiana, un’atmosfera quasi irreale, una favola che diventa realtà e la mia Biancaneve lì, a meno di tre metri di distanza. Il tutto rovinato dallo scemo del villaggio. Flipper. Ci mancava solo lui.
In realtà non è scemo, è solo che arriva sempre nei momenti meno opportuni con le battute meno azzeccate. È come un bruscolo in un occhio. Un capello nella minestra. La pioggia quando hai lavato il motorino. Il colpo di vento quando stai per afferrare il pennacchio del calcio-in-culo. È lo starnuto, quando premi il grilletto per colpire un bersaglio al tiro-a-segno del Luna Park. È il sassolino nella scarpa, quando stai per calciare il rigore della finale della Coppa dei Campioni. È la puntina da disegno che ti fora la ruota della bicicletta, quando stai per vincere la Milano-Sanremo. È l’acqua della doccia che diventa gelata, mentre sei ancora insaponato da capo a piedi. Flipper è tutto questo e anche di più. Ma in fondo, ma molto in fondo, è un bravo ragazzo. Fosse anche cattivo…
La cosa più incredibile è che non è neanche in classe nostra, non è invitato alla cena, non ci combina proprio niente. Che cosa ci fa a quest’ora, proprio qui? Dovrebbe essere a casa sua, a cena, come tutte le sere.
Lo fulmino con lo sguardo, ma lui avanza con l’incedere impetuoso che caratterizza la sua vitalità, la sua continua allegria e la sua smania di essere al centro dell’attenzione a tutti i costi, in qualunque occasione. Mi travolge, mi abbraccia. Faccio appena in tempo ad appoggiare il bicchiere sul tavolo scongiurando la macchia di rosso Ferrari su camicia e calzoni. Mi trascina verso Feo, che è ancora seduto, ed abbraccia anche lui, quasi cadiamo per terra. Ci stropiccia, ci strapazza.
«Flipper ma che fai, ci siamo visti solo ieri sera» – lo apostrofa Feo – «Un po’ di contegno. Siamo in un locale pubblico. Misura il tuo entusiasmo».
Feo che fa il distaccato con Flipper, gli fa la morale e cerca di calmarlo è l’ultima stranezza che mi aspettavo. Va bene. È una serata particolare, siamo diventati adulti, ma non per questo rincoglioniti. La sera precedente, cui Feo fa riferimento, eravamo tutti insieme a giocare a nascondino in piazza della chiesa. C’erano anche Massimo, Luca, Antonio, Roberto, Mimmo e altri. Una quindicina in tutto e proprio Feo, per nascondersi, si è arrampicato sulla cima dell’albero più alto della piazza intonando L’isola ideale dei Nomadi. Ed ora fa il distaccato.
Mi riprendo dall’uragano Flipper appena in tempo per notare che la mia fatina ha lasciato il juke-box, raggiungendo la famiglia al tavolo più lontano, sotto il pergolato, vicino all’ingresso. Un piccoletto, probabilmente il fratellino di quattro o cinque anni, è seduto di fronte a lei e fa i capricci per mangiare la sua pizza, ma la mamma lo imbocca amorevolmente, laddove il babbo controlla compiaciuto la situazione. Un quadretto di famiglia ideale. Non sembrano Tedeschi, ma non sono neanche del posto. Il paese è talmente piccolo che li conoscerei. Forse Fiorentini, Pisani, Milanesi, Torinesi. Boh! L’unica certezza è che, per colpa del guastafeste, ho perduto l’occasione di conoscerla. E pensare che ero così vicino. E ora? Non ho altre possibilità. Non ritornerà mai più al juke-box.Mi consola il pensiero che abbia escogitato il pretesto di selezionare una canzone per avvicinarsi a me. A me o a Feo??? Il dubbio atroce rosica la mia mente come un tarlo in un mobile del seicento.


…continua