sei di vada se...

venerdì 18 aprile 2014

quinto, 3° di 3

Quinto capitolo, terza e ultima parte

Il pomeriggio trascorre sereno, pochi rimasugli dell'avvilimento della mattina si dissolvono presto sul volto di Martina. Facciamo il bagno, giochiamo a palla tutti insieme, imbastiamo combattimenti cavallo e cavaliere con le ragazze sulle spalle, seguiti da inevitabili cadute in acqua con tanto di spruzzi e schiuma tutt'intorno. Una nuotata al largo, fino alla diga di massi, dove scoviamo uno scoglio pianeggiante, più appartato degli altri, al riparo da sguardi indiscreti: ci concediamo alcuni minuti di intimità durante i quali non ci risparmiamo calorose dimostrazioni d'affetto, ad occhi socchiusi, al caldo sole pomeridiano. Un tuffo ed
una nuotata raffreddano gli adolescenziali ardori prima di ricongiungerci con lo stuolo di corpi amici distesi sulla sabbia. Usciamo grondanti dall'acqua, mano nella mano e subito li imitiamo. Il tempo di asciugare e, prima delle sei, con il sole ancora alto nel cielo, sono costretto ad abbandonare la compagnia, consigliando a Martina, che vorrebbe seguirmi, di rimanere ancora un po' con gli altri, visto che, in ogni caso, non potremo stare insieme dovendo andare a ritirare il tanto atteso motorino. Acconsente.
Raggiungo velocemente la bicicletta appoggiata al muro dell'Ippocampo, sistemo l'asciugamano sulla sella di cuoio nero e sfreccio impaziente verso casa dove trovo mio padre che mi attende sulla soglia del cancello.
«Alla buon'ora!» - mi rimprovera - «Il tuo motorino sarà già stato venduto a qualcun altro.»
Ripongo in tutta fretta la bici in garage, passo l'asciugamano dalla sella al sedile della macchina e salgo, col costume ancora umido. La vecchia fidata Opel Kadett verdolina del sessantatré ci porterà dal concessionario del paese vicino e, nonostante abbia dovuto già sottostare ai miei primi stentati approcci con la guida, sull’aia di parenti che abitano in campagna, se la cava ancora bene. Partiamo. Una rapida sosta all'ufficio dell'Assicurazione per ritirare il tagliando e la Polizza poi, nel breve tragitto che ci separa dal Concessionario, mio padre indaga garbatamente sul mio modo di impiegare il tempo libero durante il giorno, in spiaggia, o la sera. Egli lavora tutto il giorno e, specialmente durante l'estate, in cui è mia consuetudine uscire anche dopo cena, ci vediamo per brevissimi momenti, durante i quali il tempo per parlare è piuttosto scarso. La conversazione cade inevitabilmente sul mio prossimo impiego.
«Nessuno ti obbliga a lavorare. Hai studiato fino a pochi giorni fa, oltretutto con lo stress degli esami. Quella è la tua attività, se vuoi riposarti, è un tuo diritto.» - mi suggerisce.
«Nessun problema!» - rispondo sereno - «Ho scelto io di provare la difficoltà del mondo del lavoro. Voglio vedere di che cosa sono capace, senza contare che, come ben sai, mi fa piacere essere abbastanza indipendente dal punto di vista economico. Probabilmente sarà dura, ma mi farò una bella esperienza. Spero solo di avere un po' di tempo libero nel pomeriggio o la sera, sai, i ragazzi, la compagnia… un po' di svago…»
«…Martina…» - sornione
«Che centra Martina, ora?»
«Niente, facevo così per dire. È molto carina, ha la tua età, è una brava ragazza, vi vedete spesso…»
«Beh! Se bastasse solo questo ci sarebbero anche Isa, Fulvia, Tania e le altre. Dovrei fare la corte a tutte?»
Fortunatamente, nel frattempo, siamo giunti dal Concessionario dove il mio due ruote è in mostra sul piccolo piazzale antistante la vetrina. Lascio il discorso sospeso a metà e scendo precipitosamente dall'auto catapultandomi nei pressi dell'oggetto dei miei desideri: rosso fiammante con piccole rifiniture gialle sul serbatoio sfaccettato, i parafanghi, i cerchioni delle ruote, il manubrio e la piattaforma appoggia-piedi cromati, gli ammortizzatori ed i fanali neri ed una banderuola, anch'essa rossa, sul culmine del parafango anteriore. Ed è mio. Ci raggiunge Renato, il titolare nonché meccanico della concessionaria, abbigliato con una tuta che originariamente doveva essere blu, ma che ha assunto una colorazione indistinta tendente al piuttosto sporco:
«Guarda che non è il tuo!» - mi comunica perentoriamente col vocione da baritono pulendosi le mani bisunte di grasso con uno straccio altrettanto bisunto dall'indefinibile colore - «Il tuo non è ancora arrivato, ma non ti preoccupare, oramai è questione di pochi giorni.»
Deluso mi rivolgo verso la macchina dove mio padre sta scendendo e non mi sfugge un suo rassicurante sberleffo.
«Comunque, se intanto vuoi fare un giro di prova, te lo concedo.» - continua Renato.
«No non mi va!» - sto al gioco - «Se è questione di giorni, oramai aspetto di esserne il legittimo proprietario. Come posso accontentarmi di un giretto!» - e mi avvio verso l'auto.
Renato comprende che ho mangiato la foglia e mi affida le chiavi sorridendo compiaciuto:
«Toh! È tutto per te.» - conclude con le istruzioni e le raccomandazioni di rito - «Miscela al cinque per cento. Per i primi mille chilometri, non pretendere prestazioni elevate e, dopo, fai in modo di raggiungere gradatamente il massimo della velocità. Ricordati: sostituire il carburatore con uno maggiorato oppure applicare lo scarico ad espansione aumenta il rendimento, ma non è consentito oltre a risultare dannoso per il motore. Se proprio non resisti alla tentazione di elaborarlo, alla fine del periodo di rodaggio, vieni da me che c'inventiamo qualcosa di lecito. Il libretto di circolazione è nell'astuccio per gli utensili, sotto la sella, entro un mese ricordati di pagare la tassa di circolazione, agli uffici dell'A.C.I., esponi il tagliando dell'Assicurazione e, soprattutto, vai piano!»
Ringrazio Renato. Non sto più nella pelle.
Sbrighiamo le ultime formalità, il babbo provvede al saldo dopodiché, una pedalata, il rombo del motore e, lui avanti con l'auto ed io dietro novello centauro, riprendiamo la via di casa.
Davanti al giardino, l'auto si appresta ad affrontare il cancello, rimasto aperto, per entrare nel vialino piastrellato e, di conseguenza, in garage ma io mi soffermo soltanto e grido, in direzione di mio padre:
«Vado a fare un giretto!» - e tiro di lungo mentre in lontananza sento un: «Vai piano!» - dalla voce di mia madre che ci attendeva sulla soglia. Dalla frenesia non l'ho neppure notata.
Passo di fronte al giardino di Martina dove sua madre accudisce i fiori, ma noto che non è ancora rientrata dal mare quindi proseguo in direzione di casa di Fulvia percorrendo a ritroso l'usuale percorso. Svolto due volte a sinistra e, puntuali, vedo le due signorine che mi vengono incontro sulle rispettive biciclette modello Graziella, molto in voga ma soprattutto molto pratiche per le dimensioni ridotte. Feo, alla sinistra di Fulvia, le accompagna premuroso. Procedono lentamente e parlottano tra loro, mentre lui si accorge di me ma tace nel notare che inverto la marcia. "Se faccio il giro dell'isolato li prendo alle spalle, prima che giungano a casa di Fulvia" - calcolo velocemente. Ritorno sui miei passi, transito di nuovo di fronte a casa e mi accingo a svoltare l'angolo della via dove si trovano loro. Li vedo. Procedo a mia volta lentamente, cercando di tenere il motore al minimo regime per fare meno rumore possibile e m'infilo in mezzo alle due ignare cicliste pressoché alla loro stessa velocità. Suono il cicalino.
Beeep!
L'improvvisata provoca un sussulto in entrambe le ragazze che sbandano con le bici rischiando seriamente la caduta rovinosa. Feo, logicamente, mi ha tenuto il gioco e non si muove di un centimetro. In breve, nel riaversi, Fulvia e Martina percuotono violentemente le mie spalle a pugni chiusi non risparmiando meritati improperi al mio indirizzo; mentre ci fermiamo mi schermo come posso dalla piacevole scarica di pugni e, dagli insulti, si passa gradatamente ai complimenti per il mio nuovissimo fiammante cavallo d'acciaio. Feo scaraventa la bici a terra, mi viene vicino e si complimenta con clamorose pacche sulle spalle:
«Beato te! Io dovrò attendere ancora qualche giorno» - sospira con una punta d'invidia.
Gli apprezzamenti si sprecano e, senza fretta, ci avviciniamo al cancello dove Fulvia abbandona la compagnia non prima di confermare il ritrovo per le nove al solito posto in piazza. L'amico ci saluta a sua volta e ritorna da dove siamo venuti, in direzione della propria dimora, mentre due svolte a destra separano me e Martina dalla strada di casa nostra. Adatto la velocità del motorino a quella della bici di Martina: procediamo insieme e lei mi racconta quel poco che è successo sulla spiaggia durante la mia oretta d'assenza. Il motore squittisce, mentre le faccio un paio di giri intorno:
«Vuoi fermarti? Mi fai girare la testa!» - mi chiede inebriata.
Giungiamo al cancello, sua madre è già rientrata in casa, ma si affaccia dalla finestra probabilmente attratta dal rumore, non ancora familiare, dello scarico della mia motoretta. Guarda giù con un accenno di sospetto, poi mi riconosce e saluta con la mano. Con Martina, ci guardiamo bene dal salutarci come vorremmo, limitandoci ad un formalissimo: «ciao a dopo!»
«Passo io da te!» - è l'ultima cosa che odo provenire dalla rampa delle scale.
«Va bene ciao!» - e via col rombante mezzo.

Inforco il cancello di casa, quando il mio biondo nipotino mi corre incontro di corsa finendo a sgambettare tra le ruote del motorino e costringendomi a fare particolare attenzione per non investirlo; si avvicina, lo prendo in braccio di peso e lo sistemo, in piedi, sulla pedana centrale facendogli provare l'ebbrezza per i due metri che ci separano dal marciapiede. Ride a squarciagola soddisfatto ed i piccoli denti bianchi incorniciano le rosee mucose della bocca e la lingua. Finalmente concedo a mia madre la soddisfazione che merita, mi scuso per non averlo fatto prima e lei, comprensiva come sempre, si congratula con me per la felice scelta dispensando apprezzamenti sul novello destriero a motore. Infila una mano nella tasca del grembiule, ne estrae una medaglietta con l'effigie della vergine col bambino e la assicura, con un fiocchino rosso, sotto la sella in posizione pressoché invisibile. Anche mia sorella non risparmia complimenti.
Parcheggio il motorino in garage, tolgo le chiavi, lo copro premurosamente con un telo di stoffa fine, probabilmente un vecchio lenzuolo smesso, che lo ripari dalla polvere e, dopo aver chiuso a doppia mandata la porta, mi avvio per le scale.

Alle nove, puntuale, Martina suona il campanello e mi verrebbe voglia di inscenare una discesa da film, ma non ne sono capace, oltretutto è grande la smania di rivederla e finisco per catapultarmi per le scale scendendole a tre per volta.
Un fulgido sorriso accoglie il mio arrivo in giardino. Martina è abbigliata semplicemente, con maglietta, jeans e scarpe da ginnastica. È splendida, ai miei occhi! Percorriamo di corsa il vialetto del giardino, varchiamo il cancello e, sempre correndo, svoltiamo la prima cantonata: è lì che si ferma di scatto, io, per inerzia, percorro ancora un paio di metri, poi mi blocco e ritorno sui miei passi, lei mi prende la testa con entrambe le mani e mi affibbia un sonoro clamoroso bacio.
«Non resistevo più!» - mi spiega - «Mi consolo con Venerdì, ma non è la stessa cosa» - ed estrae lo scimmiotto dalla borsetta.

Proseguiamo verso il luogo d'incontro con gli amici e la serata si svolge all'insegna della normalità.

domenica 19 gennaio 2014

quinto, 2° di 3




In disparte, mentre gironzoliamo, notiamo un piccolissimo banco, in contrasto con tutti gli altri del mercato, su cui sono esposti numerosi pupazzetti di svariate dimensioni, vagamente rassomiglianti ad animali, realizzati con fili di lana colorata. Dietro al banco, un uomo con una lunghissima e folta barba brizzolata, capelli altrettanto lunghi ed un cappellaccio di paglia in testa, sta realizzando proprio uno di quei fantocci che ha tutta l'aria di essere una scimmietta bianca e nera dall'aspetto simpatico. Un altro molto simile è già in esposizione e colpisce la mia fantasia, infilo la mano in tasca, chiedo il prezzo e lo compro: chissà se Martina apprezzerà! Feo mi conforta confermando che è stata una buona idea.
La nostra passeggiata tra la gente prosegue indisturbata. In lontananza, tra la folla, scorgo una coda di capelli scuri a me molto familiare ed affretto sensibilmente il passo, compiendo uno slalom tra chi procede molto più lentamente di me. Feo è rimasto indietro e sta facendo capannello con un gruppo d’amici un po' più grandicelli di noi che sembrano impartire lezioni su come abbordare le giovani turiste compiacenti. Giungo abbastanza vicino da notare che Martina non è da sola: la mamma la accompagna in questa passeggiata tra le bancarelle ed io sarò costretto a limitarmi ad un comportamento abbastanza distaccato, per non destare sospetti nell'accorta genitrice. La signora è di corporatura esile, ma un po' più bassa di Martina, forse per questo non l'ho notata subito, bruna di capelli come lei e piuttosto piacente: si difende ancora bene, nonostante l'età. Mi sposto verso destra, sul marciapiede e, di passo svelto, le supero di quel tanto che mi basta per ritornare sui miei passi, senza farmi notare, ed affrontarle frontalmente. Mi mischio tra la folla: con aria indifferente sbircio distrattamente verso gli articoli esposti sui banchi del mercato e, con la coda dell'occhio, controllo il percorso nella marcia d'avvicinamento all'obiettivo. Una volta vicino, evito magistralmente uno scontro quasi frontale con la signora che, con uno scossone del busto, si dimostra sorpresa da quell'inatteso rendez vous rischiando di rovesciare per terra il contenuto della borsa della spesa quasi piena. Saluto, mi scuso per l'attimo di distrazione e mi concentro su Martina alla quale chiedo se ha visto nessuno degli altri. Entrambe sorridono per questa mia stupida sortita. "Ho fatto veramente la figura del babbeo" - rifletto - "speriamo che non abbiano assistito alla mia insulsa manovra d'accerchiamento a dir poco disonorevole". Meno male che Martina, sollecita come sempre, prende la palla al balzo:
«Mamma, posso?» - chiede candidamente.
«Va bene! Ci vediamo a casa a pranzo.» - le concede lei.
Ci allontaniamo in fretta in direzione del punto in cui ho lasciato Feo pochi minuti prima e lo scorgo che allunga il collo oltre le teste dei passanti, probabilmente alla mia ricerca. Nel frattempo Franco, Luca ed Isa si sono uniti a lui e, quando ci ricongiungiamo non chiede spiegazioni per la mia fuga improvvisa, forse appagato dalla presenza di Martina al mio fianco.
Ci tiriamo fuori dalla zona del mercato ed incrociamo il mio futuro datore di lavoro che, non molto simpaticamente e con espressione beffarda, mi ricorda il mio impegno in programma per la settimana ventura. Nel dirigerci verso il mare giungiamo sul piazzale antistante l'Ippocampo e ci avviciniamo al massiccio muricciolo di cemento che separa il parcheggio dalla spiaggia. Aiuto Martina a salire per sedersi sul muretto ed io, per il momento, mi appoggio con le braccia conserte vicinissimo a lei, alla sua destra, rivolto verso il mare. Frugo in tasca e, appoggiandomi sul gomito sinistro, le offro il mio piccolo dono. Con aria sorpresa mi abbraccia felice, ma si adombra in fretta accarezzando dolcemente quella specie di gomitolo di lana. Poi, con la mano sinistra, passa ad accarezzarmi i capelli crespi e, con aria avvilita, comincia a parlare:
«Quel cafone che abbiamo incontrato in piazza è il titolare della pensione dove andrai a lavorare tra breve?» - chiede contrariata.
«Si! Ma non è un cafone, non essere dura con lui!»
«Come può essermi simpatico? Tra poco più di una settimana passerai più tempo con lui che con me!» - replica mesta.
«Non essere dispiaciuta, bimba! Fa parte del gioco!» - provo a farle capire - «Sai che l'inverno scorso ho già iniziato a far pratica, lavorando alcuni sabati o domeniche, proprio per essere pronto al sopraggiungere della stagione estiva.»
«Ma quest'inverno era diverso, tra noi.» - quasi piagnucola - «Siamo nella stagione più bella e dovremo trascorrerla separati… e a te non importa!»
«Non è vero! Sei ingiusta se pensi veramente che io non soffra. Il fatto è che ho preso l'impegno e devo mantenerlo, senza considerare che guadagnerò un po' di soldini che faranno senz'altro comodo. Un giro in più al Luna Park, un cinema in più, la benzina per il motorino nuovo, un regalino a te! Dovresti conoscere le mie idee sul fatto di rendermi economicamente autosufficiente.»
«Non m'interessano i regali! Il regalo più grande è stare con te!» - afferma perentoriamente.
Approfitto di un breve istante di pausa per cambiare posizione. Mi scosto dal muretto e mi propongo di fronte a lei protendendo le braccia che vanno a cingere i suoi leggeri pantaloni di cotone beige; mi accosto alle sue ginocchia che, divaricandosi, mi accolgono affettuosamente tra loro finché non appoggio la fibbia della cintura sulla cruda spalletta. Le sue braccia avvinghiate al collo e le mani intrecciate dietro la mia nuca completano un angolino virtuale nel quale ci siamo appartati isolandoci da ciò che ci circonda. L’unico testimone è il pupazzetto che ancora stringe in una mano. I nostri volti si fronteggiano, il mio è più in basso del suo, questa volta, ed annego nei suoi occhi languidi che mi riempiono di tenerezza: l'affetto che ci lega sta assumendo proporzioni smisurate. Le sue labbra sfiorano le mie.
«Non sto per partire per il servizio militare sulle Alpi del Trentino Alto Adige o in chissà quale sperduta caserma della Sardegna più selvatica. Andrò a lavorare a cinquanta metri da qui.» - e le indico il vicinissimo albergo - «Guarda, quando verrai alla spiaggia, passerai di fronte all'ingresso principale, ti basterà sbirciare tra le tende delle grandi finestre e mi vedrai intento nell'adempimento delle mie mansioni. Se ti andrà, potrai bussare ai vetri ed io ti saluterò.»
Ancora un istante di silenzio, nel nostro angolino:
«…poi non è vero che non staremo insieme.» - riprendo a parlare - «I primi giorni, probabilmente, sarà dura, dovrò impadronirmi dei ritmi di lavoro, conquistarmi qualche momento di libertà, ma in breve sono sicuro che riusciremo ad organizzarci per trascorrere un sacco di tempo insieme. Non ti lascerò da sola in questa spiaggia affollata di bellimbusti forestieri dal fisico prestante, col rischio che qualcuno più attraente di me conquisti la tua fantasia, mentre io tergo il sudore dalla mia fronte. Chissà in quanti verranno a farti la corte, in mia assenza! Carina come sei avrai solo l'imbarazzo della scelta!»
«Scemo!» - e mi sferra un leggero schiaffo, più simile ad una carezza, a dire la verità.
Me lo merito!
«Io sto con te, desidero solo te, la notte sogno di te. Al mio risveglio, sei tu il primo pensiero: il tuo viso, i tuoi capelli, le tue folte sopracciglia, i tuoi grandi occhi, il tuo naso, la tua bocca. Ogni mattina eseguo a mente il tuo ritratto e mi pento di non aver preso prima l'iniziativa. Le tue parole, i tuoi gesti, i tuoi silenzi, le tue stupidaggini, le tue smanie, ripercorro minuto per minuto il tempo che trascorriamo insieme ed ogni volta scopro nuove adorabili sfaccettature. Tu piuttosto!» - continua in atteggiamento quasi di rimprovero - «Avrai tutte le ragazzine dell'albergo ai tuoi piedi. Calzoni neri, scarpe lucidate di fresco, camicia candida sempre perfettamente stirata, farfallino nero al colletto: un figurino da sfilata, pronto a soddisfare i capricci di quelle smorfiose di turiste dall'atteggiamento compiacente…»
«Vediamo: il lunedì ne voglio una bassa, bionda con gli occhi azzurri; il martedì sempre bionda, ma questa volta alta e con gli occhi scuri; il mercoledì sarò di turno al bar, quindi prenderò quello che capita; il giovedì…» - rimugino con gli occhi al cielo come fossi intento nella programmazione del mio futuro di cameriere rubacuori.
Abbasso di nuovo lo sguardo e mi accorgo che i suoi occhi sono ancora tristi ma le sue labbra si stanno inarcando verso l'alto, pronte a sfoggiare un accenno di sorriso.
«Ti riempio di botte fino a coprirti tutto il corpo di lividi, se fai il cascamorto con le svenevoli villeggianti.» - minaccia appoggiando i pugni chiusi, ed il fantoccino, alla parte superiore del mio petto - «Poi mi faccio aiutare da Feo, ti leghiamo come un salame, prendiamo la barca di Lino, ti portiamo alla secca del fanale, ti lasciamo viveri ed acqua per tutta la stagione e ritorniamo a prenderti verso la metà di Settembre, in tempo per riprendere la scuola!» - dichiara con aria ingannevolmente imbronciata.
La stringo in un abbraccio affettuoso e lei ricambia, le nostre guance sono a contatto e percepisco lo scorrere di un lacrimone caldo. Mi discosto:
«Sciocchina!» - sta sorridendo, nonostante gli occhi siano umidi - «Ricomponiti, dai! Dipende da noi. Se non desideriamo avventure, non avremo avventure. Siamo grandi.»
È più serena, adesso, mi toglie le braccia dal collo, si terge gli occhi col dorso della mano e tira su arricciando simpaticamente il naso.
«Vogliamo battezzare il nostro nuovo amichetto?» - mi chiede finalmente un po' più distesa, mentre tira di nuovo su col naso - «Oggi è Venerdì e lo chiameremo Venerdì, come fece Robinson Crusoè con l'inatteso ospite indigeno, ti va?»
«Aggiudicato!» - confermo con aria marziale - «È con sommo gaudio che, dall'alto della carica di Gran Cerimoniere a me conferita dalla Principessa Martina, la più dolce pulzella nonché Principessa del reame di Spiaggialandia, io ti battezzo Venerdì, in rimembranza del dì della tua adozione.» - e m'invento cerimoniosi gesti che eseguo solennemente sulla testa di quella specie di batuffolo ancora prigioniero delle snelle dita di Martina.
Ride di gusto, finalmente, rendendomi felice per aver alleviato, almeno in parte, il suo cruccio.
Gli altri si sono generosamente allontanati da tempo, ritenendo di non interferire nella nostra struggente conversazione e sono sicuro che Feo è alla base di questo accomodante atteggiamento del gruppo. Come al solito non è stato necessario chiedere. Con Feo ci capiamo al volo. Grazie Feo.
La compagnia si ricostituisce e, visto che le campane hanno scandito da tempo i rintocchi di mezzogiorno, c'incamminiamo verso casa. Imbocchiamo il lungomare e ci dirigiamo verso il campo sportivo, teatro di campionati di calcio del periodo invernale e di qualche torneo del periodo estivo che vedono protagonisti molti ragazzi del paese di tutte le età.
«Questa sera vado con i miei a ritirare il motorino. Alle sette e mezzo ritengo che sarò di ritorno e passerò sotto casa tua.» - le comunico cammin facendo.

«Va bene!» - risponde lei dolcissima ma con gli occhi ancora offuscati da un velo di mestizia mentre ricopre di carezze il fortunato Venerdì. Probabilmente sta ancora rimuginando sul dialogo di poco fa sulla spalletta del parcheggio dell'Ippocampo e sul mio prossimo impiego. La saluto al cancello di casa sua con la promessa di rivederci prestissimo nel pomeriggio per andare al mare insieme.