sei di vada se...

domenica 19 gennaio 2014

quinto, 2° di 3




In disparte, mentre gironzoliamo, notiamo un piccolissimo banco, in contrasto con tutti gli altri del mercato, su cui sono esposti numerosi pupazzetti di svariate dimensioni, vagamente rassomiglianti ad animali, realizzati con fili di lana colorata. Dietro al banco, un uomo con una lunghissima e folta barba brizzolata, capelli altrettanto lunghi ed un cappellaccio di paglia in testa, sta realizzando proprio uno di quei fantocci che ha tutta l'aria di essere una scimmietta bianca e nera dall'aspetto simpatico. Un altro molto simile è già in esposizione e colpisce la mia fantasia, infilo la mano in tasca, chiedo il prezzo e lo compro: chissà se Martina apprezzerà! Feo mi conforta confermando che è stata una buona idea.
La nostra passeggiata tra la gente prosegue indisturbata. In lontananza, tra la folla, scorgo una coda di capelli scuri a me molto familiare ed affretto sensibilmente il passo, compiendo uno slalom tra chi procede molto più lentamente di me. Feo è rimasto indietro e sta facendo capannello con un gruppo d’amici un po' più grandicelli di noi che sembrano impartire lezioni su come abbordare le giovani turiste compiacenti. Giungo abbastanza vicino da notare che Martina non è da sola: la mamma la accompagna in questa passeggiata tra le bancarelle ed io sarò costretto a limitarmi ad un comportamento abbastanza distaccato, per non destare sospetti nell'accorta genitrice. La signora è di corporatura esile, ma un po' più bassa di Martina, forse per questo non l'ho notata subito, bruna di capelli come lei e piuttosto piacente: si difende ancora bene, nonostante l'età. Mi sposto verso destra, sul marciapiede e, di passo svelto, le supero di quel tanto che mi basta per ritornare sui miei passi, senza farmi notare, ed affrontarle frontalmente. Mi mischio tra la folla: con aria indifferente sbircio distrattamente verso gli articoli esposti sui banchi del mercato e, con la coda dell'occhio, controllo il percorso nella marcia d'avvicinamento all'obiettivo. Una volta vicino, evito magistralmente uno scontro quasi frontale con la signora che, con uno scossone del busto, si dimostra sorpresa da quell'inatteso rendez vous rischiando di rovesciare per terra il contenuto della borsa della spesa quasi piena. Saluto, mi scuso per l'attimo di distrazione e mi concentro su Martina alla quale chiedo se ha visto nessuno degli altri. Entrambe sorridono per questa mia stupida sortita. "Ho fatto veramente la figura del babbeo" - rifletto - "speriamo che non abbiano assistito alla mia insulsa manovra d'accerchiamento a dir poco disonorevole". Meno male che Martina, sollecita come sempre, prende la palla al balzo:
«Mamma, posso?» - chiede candidamente.
«Va bene! Ci vediamo a casa a pranzo.» - le concede lei.
Ci allontaniamo in fretta in direzione del punto in cui ho lasciato Feo pochi minuti prima e lo scorgo che allunga il collo oltre le teste dei passanti, probabilmente alla mia ricerca. Nel frattempo Franco, Luca ed Isa si sono uniti a lui e, quando ci ricongiungiamo non chiede spiegazioni per la mia fuga improvvisa, forse appagato dalla presenza di Martina al mio fianco.
Ci tiriamo fuori dalla zona del mercato ed incrociamo il mio futuro datore di lavoro che, non molto simpaticamente e con espressione beffarda, mi ricorda il mio impegno in programma per la settimana ventura. Nel dirigerci verso il mare giungiamo sul piazzale antistante l'Ippocampo e ci avviciniamo al massiccio muricciolo di cemento che separa il parcheggio dalla spiaggia. Aiuto Martina a salire per sedersi sul muretto ed io, per il momento, mi appoggio con le braccia conserte vicinissimo a lei, alla sua destra, rivolto verso il mare. Frugo in tasca e, appoggiandomi sul gomito sinistro, le offro il mio piccolo dono. Con aria sorpresa mi abbraccia felice, ma si adombra in fretta accarezzando dolcemente quella specie di gomitolo di lana. Poi, con la mano sinistra, passa ad accarezzarmi i capelli crespi e, con aria avvilita, comincia a parlare:
«Quel cafone che abbiamo incontrato in piazza è il titolare della pensione dove andrai a lavorare tra breve?» - chiede contrariata.
«Si! Ma non è un cafone, non essere dura con lui!»
«Come può essermi simpatico? Tra poco più di una settimana passerai più tempo con lui che con me!» - replica mesta.
«Non essere dispiaciuta, bimba! Fa parte del gioco!» - provo a farle capire - «Sai che l'inverno scorso ho già iniziato a far pratica, lavorando alcuni sabati o domeniche, proprio per essere pronto al sopraggiungere della stagione estiva.»
«Ma quest'inverno era diverso, tra noi.» - quasi piagnucola - «Siamo nella stagione più bella e dovremo trascorrerla separati… e a te non importa!»
«Non è vero! Sei ingiusta se pensi veramente che io non soffra. Il fatto è che ho preso l'impegno e devo mantenerlo, senza considerare che guadagnerò un po' di soldini che faranno senz'altro comodo. Un giro in più al Luna Park, un cinema in più, la benzina per il motorino nuovo, un regalino a te! Dovresti conoscere le mie idee sul fatto di rendermi economicamente autosufficiente.»
«Non m'interessano i regali! Il regalo più grande è stare con te!» - afferma perentoriamente.
Approfitto di un breve istante di pausa per cambiare posizione. Mi scosto dal muretto e mi propongo di fronte a lei protendendo le braccia che vanno a cingere i suoi leggeri pantaloni di cotone beige; mi accosto alle sue ginocchia che, divaricandosi, mi accolgono affettuosamente tra loro finché non appoggio la fibbia della cintura sulla cruda spalletta. Le sue braccia avvinghiate al collo e le mani intrecciate dietro la mia nuca completano un angolino virtuale nel quale ci siamo appartati isolandoci da ciò che ci circonda. L’unico testimone è il pupazzetto che ancora stringe in una mano. I nostri volti si fronteggiano, il mio è più in basso del suo, questa volta, ed annego nei suoi occhi languidi che mi riempiono di tenerezza: l'affetto che ci lega sta assumendo proporzioni smisurate. Le sue labbra sfiorano le mie.
«Non sto per partire per il servizio militare sulle Alpi del Trentino Alto Adige o in chissà quale sperduta caserma della Sardegna più selvatica. Andrò a lavorare a cinquanta metri da qui.» - e le indico il vicinissimo albergo - «Guarda, quando verrai alla spiaggia, passerai di fronte all'ingresso principale, ti basterà sbirciare tra le tende delle grandi finestre e mi vedrai intento nell'adempimento delle mie mansioni. Se ti andrà, potrai bussare ai vetri ed io ti saluterò.»
Ancora un istante di silenzio, nel nostro angolino:
«…poi non è vero che non staremo insieme.» - riprendo a parlare - «I primi giorni, probabilmente, sarà dura, dovrò impadronirmi dei ritmi di lavoro, conquistarmi qualche momento di libertà, ma in breve sono sicuro che riusciremo ad organizzarci per trascorrere un sacco di tempo insieme. Non ti lascerò da sola in questa spiaggia affollata di bellimbusti forestieri dal fisico prestante, col rischio che qualcuno più attraente di me conquisti la tua fantasia, mentre io tergo il sudore dalla mia fronte. Chissà in quanti verranno a farti la corte, in mia assenza! Carina come sei avrai solo l'imbarazzo della scelta!»
«Scemo!» - e mi sferra un leggero schiaffo, più simile ad una carezza, a dire la verità.
Me lo merito!
«Io sto con te, desidero solo te, la notte sogno di te. Al mio risveglio, sei tu il primo pensiero: il tuo viso, i tuoi capelli, le tue folte sopracciglia, i tuoi grandi occhi, il tuo naso, la tua bocca. Ogni mattina eseguo a mente il tuo ritratto e mi pento di non aver preso prima l'iniziativa. Le tue parole, i tuoi gesti, i tuoi silenzi, le tue stupidaggini, le tue smanie, ripercorro minuto per minuto il tempo che trascorriamo insieme ed ogni volta scopro nuove adorabili sfaccettature. Tu piuttosto!» - continua in atteggiamento quasi di rimprovero - «Avrai tutte le ragazzine dell'albergo ai tuoi piedi. Calzoni neri, scarpe lucidate di fresco, camicia candida sempre perfettamente stirata, farfallino nero al colletto: un figurino da sfilata, pronto a soddisfare i capricci di quelle smorfiose di turiste dall'atteggiamento compiacente…»
«Vediamo: il lunedì ne voglio una bassa, bionda con gli occhi azzurri; il martedì sempre bionda, ma questa volta alta e con gli occhi scuri; il mercoledì sarò di turno al bar, quindi prenderò quello che capita; il giovedì…» - rimugino con gli occhi al cielo come fossi intento nella programmazione del mio futuro di cameriere rubacuori.
Abbasso di nuovo lo sguardo e mi accorgo che i suoi occhi sono ancora tristi ma le sue labbra si stanno inarcando verso l'alto, pronte a sfoggiare un accenno di sorriso.
«Ti riempio di botte fino a coprirti tutto il corpo di lividi, se fai il cascamorto con le svenevoli villeggianti.» - minaccia appoggiando i pugni chiusi, ed il fantoccino, alla parte superiore del mio petto - «Poi mi faccio aiutare da Feo, ti leghiamo come un salame, prendiamo la barca di Lino, ti portiamo alla secca del fanale, ti lasciamo viveri ed acqua per tutta la stagione e ritorniamo a prenderti verso la metà di Settembre, in tempo per riprendere la scuola!» - dichiara con aria ingannevolmente imbronciata.
La stringo in un abbraccio affettuoso e lei ricambia, le nostre guance sono a contatto e percepisco lo scorrere di un lacrimone caldo. Mi discosto:
«Sciocchina!» - sta sorridendo, nonostante gli occhi siano umidi - «Ricomponiti, dai! Dipende da noi. Se non desideriamo avventure, non avremo avventure. Siamo grandi.»
È più serena, adesso, mi toglie le braccia dal collo, si terge gli occhi col dorso della mano e tira su arricciando simpaticamente il naso.
«Vogliamo battezzare il nostro nuovo amichetto?» - mi chiede finalmente un po' più distesa, mentre tira di nuovo su col naso - «Oggi è Venerdì e lo chiameremo Venerdì, come fece Robinson Crusoè con l'inatteso ospite indigeno, ti va?»
«Aggiudicato!» - confermo con aria marziale - «È con sommo gaudio che, dall'alto della carica di Gran Cerimoniere a me conferita dalla Principessa Martina, la più dolce pulzella nonché Principessa del reame di Spiaggialandia, io ti battezzo Venerdì, in rimembranza del dì della tua adozione.» - e m'invento cerimoniosi gesti che eseguo solennemente sulla testa di quella specie di batuffolo ancora prigioniero delle snelle dita di Martina.
Ride di gusto, finalmente, rendendomi felice per aver alleviato, almeno in parte, il suo cruccio.
Gli altri si sono generosamente allontanati da tempo, ritenendo di non interferire nella nostra struggente conversazione e sono sicuro che Feo è alla base di questo accomodante atteggiamento del gruppo. Come al solito non è stato necessario chiedere. Con Feo ci capiamo al volo. Grazie Feo.
La compagnia si ricostituisce e, visto che le campane hanno scandito da tempo i rintocchi di mezzogiorno, c'incamminiamo verso casa. Imbocchiamo il lungomare e ci dirigiamo verso il campo sportivo, teatro di campionati di calcio del periodo invernale e di qualche torneo del periodo estivo che vedono protagonisti molti ragazzi del paese di tutte le età.
«Questa sera vado con i miei a ritirare il motorino. Alle sette e mezzo ritengo che sarò di ritorno e passerò sotto casa tua.» - le comunico cammin facendo.

«Va bene!» - risponde lei dolcissima ma con gli occhi ancora offuscati da un velo di mestizia mentre ricopre di carezze il fortunato Venerdì. Probabilmente sta ancora rimuginando sul dialogo di poco fa sulla spalletta del parcheggio dell'Ippocampo e sul mio prossimo impiego. La saluto al cancello di casa sua con la promessa di rivederci prestissimo nel pomeriggio per andare al mare insieme.

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