sei di vada se...

venerdì 4 ottobre 2013

quinto 1° di 3

quinto 1/3
Mi sveglio di soprassalto al trillo insistente del campanello, simile al cicalino del pulsante di un programma televisivo a quiz. Mia madre, nel corridoio, risponde al citofono:
«Chi è?»
Sento che apre il portone e la porta che dà sulle scale. Passano pochi istanti e, dopo un frettoloso “buongiorno” rivolto a mia madre, il ciclone Feo irrompe nella mia stanza ancora avviluppata nella penombra dall’avvolgibile quasi completamente chiuso.
Nella scarsa luce diffusa dai piccoli fori delle stecche superiori della tapparella, intravedo a malapena la faccia di Feo stravolta e, allo stesso tempo, elettrizzata. Un’occhiata che mia madre non sia a portata uditiva, poi Feo accosta la porta, si siede sul bordo del letto e m’investe con un fiume di parole a cui, in preda al torpore del risveglio, stento a dare un significato.
«Fulvia… casa… strada… buio… mezzanotte… stupendo… bacio…».
Piove a catinelle, i vocaboli si infiltrano nel mio cervello in ordine assolutamente casuale inondandolo copiosamente: non riesco a distinguere se Feo le sta sparando alla rinfusa o sono io che non riesco a dar loro un ordine logico, ancora abbracciato da un Morfeo che non accenna a mollare la presa.
«Ma che ore sono?» – farfuglio assonnato stropicciandomi gli occhi.
«Le nove e mezzo, ma che t’importa» – mi scuote – «Svegliati! Ascoltami! Ho bisogno di sfogarmi!»
«Le nove e mezzo? Tu sei matto! Ritorna tra un paio d’ore» – gli ordino girandomi verso il muro e coprendomi il busto nudo col leggero lenzuolo.
Con un balzo raggiunge la finestra, solleva la tapparella ed il sole inonda la stanza pugnalandomi gli occhi gonfi per la notte appena trascorsa. Lo mando sonoramente a quel paese e mi copro gli occhi col cuscino, ma lui me lo strappa dalla faccia: non c’è modo di dormire. Mi tiro a sedere sul letto, mi stropiccio nuovamente gli occhi e mi appoggio sulle braccia distese all’indietro:
«Allora? Cosa c’è di tanto urgente da farti svegliare alle prime luci dell’alba e, soprattutto, da svegliare me così presto?» – chiedo seccato – «Non potevi aspettare che ci vedessimo al mare, come ogni giorno?»
«Fulvia!» – dice eccitato con gli occhi che brillano di contentezza – «Ieri sera l’ho accompagnata al portone di casa. In linea d’aria è proprio qui dietro, sulla strada parallela a questa.»
«Lo so dove abita Fulvia! E allora?» – insisto artificiosamente irritato – «Mi hai svegliato per comunicarmi l’indirizzo di Fulvia? Grazie tante!»
A poco a poco sto riacquistando le facoltà intellettive temporaneamente perdute durante il sonno notturno e prende corpo in me la scena di cui Feo mi vuole rendere partecipe.
«Iersera, quando ci siamo lasciati, laggiù all’incrocio, l’ho accompagnata a casa.»
«Lo so: vi ho visti. Vi abbiamo visti. Tu eri così impegnato che non ci hai augurato neanche la buonanotte. Martina ed io vi abbiamo osservato per un breve istante mentre vi allontanavate da noi. Fate una bella coppia.» – rispondo con aria canzonatoria.
«Non fare il cretino, altrimenti non ti dico più niente!» – mi apostrofa lui.
«No, no, vai avanti, ormai mi hai svegliato, tanto vale che mi racconti tutto.»
«Per la strada abbiamo continuato a parlare del più e del meno, ma io non resistevo più,» – continua su di giri – «dovevo fare qualcosa, agire in qualche modo, capire se anche lei…» – breve pausa – «Al cancello… La luce del lampione era parzialmente oscurata dalla folta chioma dell’acacia ed ho rotto gl’indugi. Finalmente le ho sussurrato quello che provo per lei. Avevo il cuore che batteva a mille. Ero elettrizzato come non mi era mai successo. Mi ha risposto che anch’io le piaccio!»
«Tutto qui?» – chiedo ironico – «E tu hai turbato il mio sonno nel cuore della notte per questo? Sei il solito rompiscatole!» – e mi ributto sul letto, coprendomi col lenzuolo fin sopra la testa, come se volessi riprendere il sonno interrotto. Facendo capolino dall’orlo lenzuolo noto che mi scruta perplesso e non si capacità se credere alla mia insolita reazione. Come una furia, volo il lenzuolo, con i soli slip addosso mi avvento su di lui e ci avvinghiamo per terra in una lotta dura ma dalle mosse studiate e del tutto innocue. Lo stendo schiena a terra e gli sono a cavalcioni quasi sul petto immobilizzandolo.
«Cosa ti dicevo, al cinema? Non ne ho mai dubitato!» – e, di destro, gli sferro un buffetto alla mandibola.
Ci tiriamo su, sediamo sul letto sfatto e Feo riprende la rosea cronaca soffermandosi su pochi particolari, dopodiché sospira appagato.
«Il quarto d’ora più bello della mia vita!» afferma con aria trasognata!
«Va tutto bene, Rodolfo Valentino» – lo rassicuro – «e ora cosa si fa? Al mare è troppo presto, ci troviamo solo Angiolino che ripara le reti. Tutti i nostri coetanei a quest’ora dormono. Ma come hai fatto a svegliarti così presto?»
«Ero troppo eccitato, prima delle sette ero già in piedi e, nel giro di mezzora, ero in cucina, non riuscivo più a dormire.» – risponde – «Ho pure spaventato mia madre che mi ha fatto il lavaggio del cervello credendo che mi sentissi poco bene. Quando ha visto che ho divorato la colazione si è convinta che non avevo niente e mi ha lasciato perdere. Mi sono vestito velocemente e sono corso qui in preda alla furia di raccontarti tutto. Ora so cosa ti succede, quando fai la faccia da pesce lesso con Martina.»
«Io che faccio gli occhi da pesce lesso: impossibile!» – ma poi il pensiero vola verso la mia dolcissima bambina e mi rendo conto che ciò che Feo afferma è assolutamente vero. Ho preso una cotta che ha dell’incredibile. È la prima volta che mi succede ed è assolutamente al di sopra delle più rosee aspettative. Sono pronto a fare la faccia da pesce lesso, per lei.
«Hai ragione, sono proprio cotto a puntino.» – sentenzio – «E pensare che, fino a meno di due settimane fa, non ci pensavo proprio ad avere una storia con lei.»
Mi ributto sul letto e, come un idiota, rimango per alcuni minuti a fissare il vuoto con la mente rivolta a colei che occupa costantemente i miei pensieri. Feo non è da meno. Ad un tratto, si scuote:
«Dai! Preparati che usciamo, prendiamo le biciclette, facciamo una pedalata fino al ponte Romanico e vedrai che facciamo l’ora di trovarci con gli altri.»
Una rapida passata per il bagno, colazione abbondante, un saluto disperso in cucina:
«Ci vediamo a pranzo!» – e giù per le scale.
La pedalata fino al ponte Romanico, detto anche “ponte gobbo” per la strana deviazione che impone alla carreggiata, si rivela molto rilassante e, al ritorno, decidiamo di fare una capatina al mercato che, con cadenza settimanale, anima il versante Sud della piazza.
I banchi degli ortolani ostentano orgogliosamente ortaggi e frutta delle campagne locali che gli ambulanti continuano ad aspergere con spruzzi d’acqua fresca, per mettere ancora di più in risalto la lucentezza delle scorze variopinte.
In un angolo, una contadina, abbigliata con il classico grembiule sull’ampia gonna lunga e nera e l’immancabile pezzuola in testa annodata sulla nuca, sfoggia quattro grandi sporte di paglia intrecciata contenenti i prodotti del proprio orticello: peperoni dalla vivace colorazione gialla, rossa o verde, enormi e violacee melanzane dalla forma rotonda o allungata, fagiolini verdi, striate zucchine, insalata, pomodori ed altri ortaggi di stagione appena raccolti.
Il pescivendolo, il Pozzuolano, declama, con un accento tipico del paese d’origine, ma intercalando comicamente qualche vocabolo nell’idioma locale, l’occhio dei pesci appena pescati e gettati sul banco, come il più vivido e brillante di tutta la costa Tirrenica. Orate, saraghi, dentici e purpuree triglie di scoglio sono adagiate su un giaciglio di ghiaccio tritato intanto che le lunghe antenne di un paio d’aragoste ancora vive fanno capolino da un secchio di plastica verde appeso ad un gancio del bancone, nelle vicinanze di una cassetta di legno colma di grigio-argentee acciughe, meno pregiate ma non per questo meno apprezzabili. Una grande, lucidissima razza di colore marrone scuro occupa spavalda un angolo del banco e polpi e seppie attorcigliano i loro tentacoli all’interno di un contenitore di polistirolo.
Il furgoncino del formaggio esibisce grandi forme di parmigiano, alcune delle quali sapientemente spaccate in due dall’abile mano del caseario, e pile di caciotte e pecorini stagionati, regalando agli avventori saporite scaglie a scopo puramente pubblicitario.
Il clangore delle stadere d’ottone testimonia la vivacità degli scambi e gli acquisti delle massaie sempre pronte a baccagliare sul prezzo o sul peso, mirando ad un possibile abbuono che spesso l’ambulante concede molto volentieri.
Più in disparte, i banchi dell’abbigliamento e delle pezze di stoffa: i mercanti, più pacati e meno coloriti, si limitano ad esporre la merce ai passanti invitandoli alla prova ed all’eventuale acquisto, garantendo la qualità superiore della loro mercanzia.
Nella stessa zona, colpisce il luccichio della miriade di pentole, bicchieri e posate, caratteristico del banco degli articoli per la casa al quale si presentano, quasi esclusivamente, acquirenti alla ricerca di qualcosa di ben definito: bicchieri per ripristinare il servizio scompagnato, pentole o casseruole di misura idonea alla preparazione di una pietanza particolare o posate per rinnovare il cassetto della credenza. Vi spiccano soprammobili di dubbio gusto a forma di strane verdure, finti forchettoni e posticci macinini da caffè.
Un caso a parte è il camioncino dell’utensileria su cui è possibile trovare gli arnesi più disparati: dalle affilatissime “frullane” per falciare il fieno ai coltelli svizzeri multiuso, dallo scalpello al martello, dalla pala al piccone, insomma, tutto ciò che può servire per i lavori manuali e per il fai da te. I più interessati agli articoli in questione sono certamente i rari uomini che, non impegnati dal lavoro per ferie, permessi o chissà cosa d’altro, si trovano a bighellonare per il paese nella mattinata dedicata al mercato, o gli anziani pensionati memori d’attività oramai cessate.
Feo ed io, lasciate le bici alla rastrelliera vicino alla chiesa, ci mescoliamo tra la folla e ci troviamo immersi nel brusio di sottofondo, rotto dalle urla degli stravaganti venditori che reclamizzano la propria merce come la migliore sulla faccia della terra. Non siamo attratti dai banchetti né dalla merce in esposizione, ma la passeggiata può servire a prendere coscienza del luogo in cui viviamo, visto che, con la scuola, in inverno, non abbiamo mai la possibilità di intervenire a questa specie di raduno, molto importante per chi conduce vita di paese.
Nell’andirivieni generale ci soffermiamo con amici e conoscenti per scambiare qualche frivolo commento sull’incombente estate mentre, qualcuno dei più intimi ci chiede ragguagli sul risultato degli esami appena affrontati, sugli studi che intraprenderemo alle scuole superiori e notizie sulle rispettive famiglie.

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