sei di vada se...

domenica 10 marzo 2013

quarto 2° di 2

quarto 2/2
Il gigantesco schermo bianco domina la platea, illuminata dalla luce flebile di piccoli lampioni versione economica, e tra breve si animerà di figure altrettanto gigantesche che incomberanno su ammutoliti spettatori. Le poltroncine si stanno riempiendo di pochi turisti e la prima notte di quiete, vada, da giugno a settembre, adolescenza, etsmolta gente del paese, compresi alcuni conoscenti che saluto da lontano. Nell’attesa Flipper, sistemato nella prima delle tre file di nostra competenza, vicino a Franco, si è rivolto indietro, appoggiando il sedere allo schienale della poltroncina di fronte alla sua e tiene banco con storielle divertenti e barzellette. Qualcuno cerca d’interromperlo, ma non c’è verso, il centro della scena è suo, almeno fino all’inizio del film. Viene interrotto solo dall’affievolirsi delle luci e si mette finalmente seduto, ma non è ancora il momento. Ci sorbiamo la programmazione della settimana successiva, un po’ di pubblicità e, finalmente, il leone ruggente della Metro Goldwin Meyer annuncia l’inizio della proiezione.
Non è la prima volta che vengo al cinema con Martina, ma è la prima volta da quando…
Con la coda dell’occhio controllo la situazione: ha i gomiti sui braccioli della poltroncina, e le mani sul grembo. Poco dopo l’inizio del film, non resisto alla tentazione e cerco disperatamente un seppur impalpabile contatto fisico. Con lo sguardo che non si distoglie dalla proiezione, muovo la mano sinistra nell’ombra verso di lei, sfioro involontariamente la gonna corta, lei ha un impercettibile sussulto, poi trovo la sua mano destra e la stringo: è freddissima, nonostante la tiepida serata. Ci guardiamo: i variopinti bagliori generati dallo scorrere della pellicola, provocano, nei suoi grandi occhi, caleidoscopici giochi di luce che accendono la mia fantasia. Le palpebre, coronate da lunghe ciglia naturalmente arricciate, calano ad intervalli regolari celando ritmicamente lo spettacolo alla mia vista, al pari di minuscoli sipari di un altrettanto minuscolo palcoscenico. La sua mano sotto la mia si muove e si libera, il palmo della mia mano è ora sulla gonna e percepisco la forma di ciò che essa cela pudicamente. È lecito aspettami che tolga la mia mano da lì, invece la copre con la sua, che è ancora fredda, accettando il contatto. Ci rimettiamo a vedere il film, ma la mia mente annega in ardenti emozioni e si strugge come in un fiume di lava che cola da un vulcano in piena fase eruttiva.
Le scene del film si susseguono, una dopo l’altra, sul grande schermo e l’intreccio si dipana tra l’amore tormentato di una donna per un uomo, una bellissima amante ed un amico poco affidabile: a dire il vero del film m’importa ben poco. Potrebbero dare anche Tom & Jerry, lo apprezzerei ugualmente, rimarrei così per ore intere. Giro verso l’alto il palmo della mano che accoglie così il palmo della sua mano non più fredda, le dita s’intrecciano delicatamente provocando piccole indefinite emozioni. Fulcro della nostra intesa sono leggeri movimenti delle dita che interpretano un alfabeto in codice inventato sul momento e noto soltanto a noi.
Fine del primo tempo. All’accendersi improvviso dei lampioni, le nostre mani si lasciano di scatto in un moto quasi istintivo, come se dovessimo nascondere i nostri sentimenti da chissà quali occhi indiscreti. Ne approfitto per una capatina al bar.
«Noccioline? Bibita? Gelato?» – le chiedo.
C’è ressa, al mini-bar del cinema e, aspettando il mio turno, scambio poche battute con Feo:
«Hai visto quant’è carina?» – i suoi occhi sprizzano gioia ed eccitazione, mentre me lo chiede – «Mi piace: vorrei dirglielo!»
«Che cosa aspetti? Questo è il momento giusto! La penombra del cinema crea sempre un’atmosfera particolare.»
«Non ci riesco. Non trovo il coraggio!» – ribatte quasi rammaricandosi.
«Tu? Feo, tra noi due tu hai sempre cercato il primo approccio, tu hai rotto il ghiaccio e tu sei lo sfrontato!» – lo conforto ridacchiando – «Il ruolo del timido non ti si confà perciò, lascialo a me!»
«Dici bene tu! Martina è una ragazza dolcissima, vi trovate a meraviglia e, come se non bastasse, ti ha risparmiato anche la fatica di fare la prima mossa.» – ribadisce pronto.
«Temo di non piacerle e di rovinare tutto!»
«E tu non dirle niente. Fai un gesto carino, provoca in lei una reazione… Ma che te lo dico a fare, sai meglio di me come comportarti!»
«Va bene!» – afferma con una violenta espirazione a labbra semichiuse, come quando riprendiamo fiato agli allenamenti.
Ritorniamo al posto nel momento in cui le luci dei lampioncini si affievoliscono, giusto in tempo per assistere all’inizio del secondo tempo. Porgo a Martina uno dei due cornetti all’amarena; nel gioco di luci ed ombre prodotto dal cono luminoso del proiettore, scartiamo i rispettivi gelati. Prima che io abbia il tempo di portarmelo alle labbra, lei mi cattura la mano ed avvicina la bocca semiaperta prendendosi il piacere del primo morso. Mi offre il suo perché faccia altrettanto. In sfumature come questa, Martina è impareggiabile ed il gelato assume una fragranza che genera sensazioni per me assolutamente nuove. Terminato il gelato, è lei che appoggia la mano destra sui miei jeans, poco sopra il ginocchio, dove trova la mia pronta ad accoglierla ed a riprendere il dialogo in codice da dove lo avevamo lasciato. Il film continua a scorrere inesorabile, ma lo seguo svogliatamente, intento come sono nello scambio di messaggi digitali a fior di polpastrelli e di falangi che s’intrecciano. Non mi distolgo neanche quando, durante le scene più scabrose, Flipper ed altri si lasciano andare ad urletti e brevi fischi d’approvazione provocando le proteste della platea tutta. Martina reclina la testa sulla mia spalla: in un lampo, ascendo al settimo cielo. Valico i confini della Via Lattea ed Orione, Andromeda, Cassiopea, Sirio sono ormai ad un tiro di schioppo. Nel ricadere dal mio viaggio interplanetario, mi ritrovo sulla poltroncina del cinema. Con un movimento del tutto naturale, abbandono la sua mano sui miei jeans per cingerle le spalle con il braccio sinistro, pur col timore di rovinare l’atmosfera. Non si muove, anzi si accoccola ancora di più nell’incavo tra il mio collo e la spalla e non posso esimermi dall’accostare a mia volta il capo sulla sua testa. Mi scopro a sorridere compiaciuto per il solletico provocato da una ciocca dei suoi capelli sulla pelle della mia guancia. Le sue chiome emanano una fragranza che ricorda un rigoglioso giardino esotico in piena fioritura: effluvi di zagara, gelsomino e mughetto si mescolano in un cocktail dall’aroma inebriante. Con la destra cerco, con successo, la sua mano sui miei jeans.
Avrei voluto che il film durasse all’infinito invece, ahimé, scorrono i titoli di coda. Solleva la testa: ci guardiamo. È in brodo di giuggiole ed io più di lei.
Potenza dell’età e dei primi approcci amorosi!
«Oggi pomeriggio, per un interminabile momento, ho temuto di passare la serata senza di te.» – mi confida guardandomi con occhi languidi – «Pensa che cosa mi sarei perduta!»
«Anch’io l’ho temuto! Ma non pensarci più!» – la conforto.
«Ti è piaciuto il film?» – mi chiede distrattamente.
«Certo!» – rispondo sornione.
«Io non l’ho proprio seguito,» – mi confessa abbassando pudicamente lo sguardo – «ho avuto tutt’altro per la testa, stasera.»
«Peccato che sia durato così poco!» – le svelo prendendo il suo mento tra le dita – «Le nostre mani non si sono stancate mai di sfiorarsi, di toccarsi, d’intrecciarsi in un affiatato duetto, come se l’avessimo provato e riprovato all’infinito, per raggiungere la perfetta esecuzione. Come potevo pensare alla trama del film!»
«Non dire altro, il tuo cuore lo ha già detto per te. È stato bellissimo percepire il suo instancabile ritmo attraverso la camicia: ogni tanto il battito accelerava per poi calmarsi di nuovo. Ho scoperto che spesso batteva all’unisono col mio. Chissà…»
«Eri tu!» – la rassicuro – «…o meglio, eravamo noi. Per la prima volta ti ho sentito così vicina.»
«Hai usato la parola “noi” riferito a noi due come una cosa sola. Non lo avevi mai fatto. T’invidio un po’» – sorride – «ed avrei voluto farlo io per prima.»
«Ma è stato proprio così. Tu hai dato lo spunto. Il mio cornetto è diventato il tuo e viceversa. Così è successo, quando ti sei accostata a me: è stato come se io fossi seduto sulla tua poltroncina e tu sulla mia o, meglio, come se la poltroncina fosse solo una per due. Due palline di gelato sul medesimo cono, due mani che si lavano l’un l’altra sotto il comune getto d’acqua, due anime in un nocciolo. Io più te uguale noi!»
«Sei gentile ad attribuirmi un merito che, in realtà, è attribuibile esclusivamente a te!»
Si accendono definitivamente i lampioncini ad interrompere uno sdolcinato idillio nel quale non mi sarei riconosciuto, se non lo avessi vissuto in prima persona. Finalmente abbiamo ripreso la posizione eretta sulle scomode poltroncine a stecche verticali di legno, mentre gli altri sono già nel corridoio laterale, ed indugiamo ancora un po’ seduti, come per trattenere il più a lungo possibile le emozioni recentemente scoperte. Sospiro, mi alzo, le porgo la borsetta, prendo il golfino dalle sue ginocchia e glielo sistemo sulle spalle come fosse una piccola mantella ed ella, alzandosi a sua volta, mi ripaga con un abbraccio strettissimo appoggiando la testa sul mio petto senza alcun timore di compromettersi agli sguardi curiosi di eventuali conoscenti. Il cinema è oramai quasi vuoto e, mio malgrado, con una smorfia di disappunto, le indico con la mano destra la strada verso l’uscita. La ghiaia scricchiola di nuovo sotto le scarpe e seguiamo la corrente mano nella mano nel ricongiungerci al gruppo.
Per la strada che ci conduce in piazza, i commenti dei più sguaiati si soffermano, ovviamente, sulle poche malcelate scene di sesso e qualcuno si dimostra particolarmente in vena nel colorirli con dozzinali commenti che provocano la disapprovazione delle ragazze. Feo non si stacca un attimo da Fulvia che dimostra di non disdegnare le sue attenzioni. Sulle panchine in cemento della grande piazza alberata, c’intratteniamo per gli ultimi commenti e per organizzare la giornata successiva. Martina è seduta con le gambe accavallate, la destra sopra la sinistra dondola armoniosamente al ritmo di un’inesistente melodia, ed io sono in piedi vicinissimo a lei con il fianco sinistro appoggiato allo spigolo dello schienale della panchina, sbocconcellato dall’usura. Tania ed Isabella sono sedute vicino a lei, mentre gli altri sono in piedi disposti a semicerchio di fronte a noi. Feo è leggermente in disparte, con le mani dietro la schiena, appoggiato al tronco cavo di un grande platano e Fulvia gli sta di fronte, in piedi: parlano fittamente e non partecipano assolutamente alla nostra conversazione.
Tra un commento e l’altro Antonio se ne esce con una battuta delle sue:
«Mi sa che qualcuno, stasera ha visto poco del film!» – ed ammicca in direzione del platano dal tronco cavo, dove è in corso un dialogo dai toni molto confidenziali. La sarcastica battuta è indirizzata alla nuova coppia di tortorelle, ma, evidentemente, ci sentiamo anche noi oggetto della frecciatina: Martina storce il collo volgendosi verso l’alto e, mentre la coda di cavallo spenzola aldilà della spalliera della panchina, ci scambiamo una complice, accomodante occhiata. Feo lo fulmina con un saettante sguardo, intanto che Fulvia china timidamente il capo: la penombra non mi consente di accertarlo, ma sono pronto a scommettere che le sue guance sono imporporate da un pudico rossore. È mezzanotte passata da poco, quando un corale “buonanotte” scioglie la compagnia spedendo ognuno verso la rispettiva dimora. Feo, Fulvia, Martina ed io c’incamminiamo sul breve tratto di strada comune ma, quando noi due svoltiamo a destra, verso la via di casa, Fulvia procede dritto sulla strada principale e Feo, invece di svoltare a sinistra, verso casa sua, la segue come un’ombra con l’intento di accompagnarla fino al portone. Un ulteriore saluto di commiato ci congeda dalla potenziale novella coppia. Ci soffermiamo ancora qualche minuto ai piedi del tronco del fido pino secolare, testimone delle nostre effusioni notturne, nella penombra del giardino, poi Martina, di malavoglia, imbocca le scale buie ed io m’incammino verso casa solo dopo averla vista scomparire dentro il portone.
Nel brevissimo tragitto che mi separa da casa, illuminato dalla luce lattiginosa dei lampioncini, filtrata dal fogliame degli alberi che si protendono dai giardini prospicienti la via, mi sorprendo a rimuginare sul recentissimo passato e, soprattutto, sull’esperienza di Martina e me. Fino a meno di quindici giorni fa eravamo amici inseparabili, tra noi la differenza dei sessi non era mai emersa, nel senso che non ci eravamo posti il problema. Eravamo elementi del gioco né più né meno degli altri componenti della compagnia, con i quali spendevamo la maggior parte del nostro tempo libero. Più legati tra di noi, ma solo per il fatto di essere cresciuti insieme, risiedendo in abitazioni vicinissime tra loro. Un po’ come con Feo con l’unica differenza che, con lui, l’inscindibile amicizia è nata in prima Elementare e, da compagni di banco, abbiamo condiviso gioie e dolori, successi e brutti voti, che hanno caratterizzato la nostra carriera scolastica. Nell’inevitabile fenomeno di attrazione verso l’altro sesso non avevo mai pensato alla figura di Martina e mai mi era passato per la mente che potessimo avere bisogno di scambi più affettuosi. Non mi ero mai preoccupato di notare se fosse carina o se mi piacesse; magari lo avevo pensato per Isabella o per Tania, per restare nell’ambito delle più confidenti, ma non per lei. Adesso mi appare sotto una luce incantata, ci stiamo scoprendo molto affiatati e passiamo insieme la maggior parte del tempo libero, pur non privandoci di quel po’ d’indipendenza necessaria per trarre il massimo del piacere dalla nostra storia.
Nel frattempo ho attraversato il cancello, il giardino buio e sono giunto al portone di casa; entro, faccio le scale in silenzio e mi accingo alle operazioni di rito, prima di coricarmi per una notte di meritato riposo.
L’ultimo pensiero, prima di addormentarmi, è ancora per lei.

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