È
giunta l'ultima settimana di un Giugno che difficilmente la mia memoria potrà
dimenticare. Ho vissuto più esperienze esaltanti nell'ultimo mese che in tutti
e quattordici gli anni della mia vita.
Mi sono
svegliato prima del solito, stamattina, in quanto devo provvedere a
formalizzare l'iscrizione alla Scuola Media Superiore. Rievoco con
soddisfazione il recente passato: il primo aperitivo da Doriano, la cena con la
terza "A" dallo Zingaro, Martina, gli esami, il motorino e, stamattina,
un altro passo così importante.
Tra
breve passerò a prendere Martina; poi appuntamento alle dieci alla fermata
dell'autobus, in piazza, con Feo e Fulvia per la missione "S.M.S.",
Scuola Media Superiore. Potrei usufruire del potente due ruote ma gli altri, non
ancora motorizzati, dovrebbero prendere l'autobus e non desidero assolutamente
separarmi da loro.
Indugio
ancora un po' sul letto, senza lenzuolo, a dorso nudo, e provo ad immaginarmi
Martina nella stessa mia situazione con il solo pigiama leggero o con una
camicia da notte di cotone senza nient'altro in dosso a parte, forse, le
mutandine. Scaccio pensieri maliziosi e me la figuro sul letto: ho optato per
un pigiama chiaro, color panna, con rari fiorellini turchesi, nella
semioscurità della sua cameretta, pochi istanti prima di svegliarsi: distesa in
avanti, con la gamba sinistra modestamente piegata verso l'alto e l'altra
distesa, il braccio destro abbandonato lungo il corpo e l'altro che quasi le
cinge la testa, i lunghi capelli bruni, morbidi come seta, scarruffati e
sparpagliati per tutto il cuscino a coprirle quasi completamente il volto.
Occhi serrati con le lunghe ciglia immobili, labbra leggermente dischiuse. Si
muove, si gira lentamente fino ad assumere la posizione supina, accenna uno
sbadiglio, mentre le membra addormentate cercano ristoro in una plastica
distensione che le liberi dal torpore della notte appena trascorsa. Sulla
delicata pelle del viso, le tracce rosee lasciate dalle pieghe del cuscino,
disegnano una sorta di mappa sui cui è tracciato il percorso per arrivare al
tesoro, costituito dalle gemme dei suoi occhi che magicamente si aprono ad un
nuovo giorno. Sto sognando ad occhi aperti, con lo sguardo fisso sul soffitto,
quando una voce familiare proveniente dalla cucina, mi riporta alla realtà:
«Alzati o
farai tardi per il pullman!»
La tapparella
della finestra è stata preventivamente aperta da mia madre tuttavia, dalla luce
opaca che pervade la stanza, sembra che non goderemo di una bella giornata. Mi
alzo, mi affaccio, qualche nuvola offusca il sole che stenta ad aprirsi un
varco, ma potrebbe anche trattarsi di foschia mattutina, caratteristica di
questo periodo, generata dall'evaporazione dell'umidità notturna. In quel caso,
nell'arco di mezz'ora, l'astro infuocato tornerà a risplendere spavaldo,
altrimenti dovremo inventarci qualcosa di divertente per passare la giornata.
Una
doccia tiepida mi sveglia definitivamente e, poco dopo, la solita abbondante
colazione fornisce al mio corpo il combustibile giusto per arrivare senza
difficoltà all'ora di pranzo. Mi vesto con calma, cerco, nel cassetto della
scrivania, l’Attestato di Licenza Media recentemente ritirato presso la Scuola
Media Dante Alighieri ed altri
documenti necessari all'iscrizione, saluto e mi avvio per le scale.
Faccio appena
in tempo ad uscire dal cancello che scorgo Martina in fondo alle scale e sta
anche lei uscendo: sincronizzati alla perfezione come cronografi Svizzeri. A
metà strada incontro un sorriso radioso, tipico della sua estrema semplicità e
trasparenza, che preannuncia un'altra giornata contrassegnata dalla sua
magnifica compagnia.
C'incamminiamo e, con qualche minuto
d'anticipo giungiamo alla fermata del pullman che ci condurrà al villaggio
scolastico dove sono concentrati i vari istituti di Scuola Media Superiore;
siamo momentaneamente da soli, Feo e Fulvia devono ancora arrivare, ma sarà
questione di pochi minuti. Ci sediamo sugli ampi scalini del laboratorio di
sartoria che si trova in prossimità della fermata e percepisco la calorosa
vicinanza di Martina che si è accostata al mio fianco destro. Ho i gomiti
appoggiati sulle ginocchia piegate, laddove lei ha assunto una posa più
plastica e pudica con i piedi sullo scalino più basso e le gambe, strettamente
unite e limitatamente flesse, da perfetta signorina perbene; con un gesto
naturale della mano sinistra, prende la mia destra ed entrambe vanno a celarsi
nel piccolo interstizio tra la mia gamba e la sua. Nel frattempo il sole sta
cercando di scardinare la tenace resistenza della nuvolaglia circostante ed io
inizio a parlare:
«Sai che
stamattina, al risveglio, mi sono intrattenuto qualche minuto a letto, supino,
con le braccia incrociate dietro la testa e lo sguardo concentrato su un punto
indefinito del soffitto; la mia mente ha preso a fantasticare ed ho immaginato
te nella mia stessa situazione.»
Mi guarda con
aria tra lo stupito ed il corrucciato, nell’attesa di mie ulteriori rivelazioni
sull'argomento.
«…eri
completamente nuda nel letto arruffato, distesa sul dorso, bellissima e
disponibile ed io sono entrato improvvisamente nella stanza spalancando la
porta con irruenza…» - una pausa studiata per assistere alla sua reazione,
mentre dentro di me prefiguro una scenata con tanto di meritate parolacce dal
"porco" al "maniaco sessuale", e sogghigno sarcastico.
Niente,
silenzio assoluto! Solo un filo d'ombra nei suoi occhi adamantini.
Feo e Fulvia
sono ormai a due passi da noi ed il loro arrivo interrompe temporaneamente la
mia disquisizione.
«Buongiorno!»
- ci salutano quasi all'unisono.
Contraccambiamo
il saluto e l'autobus arriva puntuale, si ferma esattamente al centro delle
strisce gialle dipinte sull'asfalto, che delimitano l'area riservata alla
fermata e, con uno sbuffo d'aria dell'impianto pneumatico, si aprono le porte
posteriori a soffietto, quelle riservate alla salita dei passeggeri. Saliamo il
paio di alti scalini, il fattorino stacca quattro biglietti e ci mettiamo
seduti sulle comode poltroncine imbottite: Martina ed io troviamo posto nella
parte posteriore sulla sinistra dell'autobus mentre gli altri due compiono per
la mano ulteriori tre o quattro passi prima di accomodarsi a loro volta, a
destra del corridoio.
Pochi minuti
e, con piglio severo, Martina chiede lumi sulle mie mattiniere fantasticherie:
«Perché non
vai avanti col tuo racconto?» - chiede seria con gli occhi che emettono lampi.
«OK! Anch'io
ero completamente nudo e…» - un'altra pausa, poi riprendo - «…Non è vero
niente, sciocchina.» - le accarezzo una guancia - «Non ci pensare, non
immaginerei mai una scena scabrosa tra di noi, ti voglio troppo bene, ho fatto
solo per scatenare una tua reazione: è stata proprio quella che mi aspettavo e
me ne compiaccio.»
«È vero che
ho fantasticato sul tuo risveglio, ma in una situazione casta e pura…» - e le
racconto il mio sogno ad occhi aperti.
Lo sguardo
inquisitore non si è ancora dileguato: forse ho esagerato un po'.
«Avresti
preferito che fossi così? Disponibile, lasciva, magari sexy, lussuriosa: la tua
Messalina?» - riprende offesa.
«Ti ripeto
che scherzavo, riconosco di essere stato uno sciocco. Mi piaci così come sei
non desidero altro in questo momento» - mi sottometto - «e ti chiedo scusa!» -
chino il capo con atteggiamento ironico.
Non risponde
e lo sguardo si è rivolto dall'altra parte: rincorre il paesaggio in movimento
fuori del finestrino e mi volge le spalle, ancora irritata. I capelli raccolti
nella solita folta coda che si diparte dalla parte alta della nuca, scoprono il
collo liscio dove alcuni ciuffetti sbarazzini, sfuggiti alla cattura
dell'elastico, ricamano volute estremamente attraenti alle quali non riesco a
resistere. Al riparo dell’alto schienale della poltroncina di fronte, mi
avvicino e, a labbra socchiuse, sfioro la base del collo alitando lievemente
sui ciuffi castani che si agitano debolmente. Il collo si ritrae, eppure lei
non fa una piega, apparentemente insensibile alla mia sollecitazione. Proseguo
nella manovra di riconciliazione appoggiando le labbra nelle vicinanze del suo
orecchio destro e percepisco una, seppur minima, reazione delle spalle che si
stringono in preda ad un brivido. Mi distacco e tento di distrarre la sua
attenzione dal paesaggio esterno, facendo in modo che si giri verso di me.
Intravedo la faccia nel pallido riflesso del finestrino: "sta ridendo, sta
sghignazzando alla faccia mia, mi sta prendendo in giro! Io mi sto impegnando
per farmi perdonare un peccato molto veniale e lei si prende gioco di me!"
- penso indispettito.
Abbandono,
piuttosto irritato, le moine accomodandomi sulla poltroncina in posizione
assolutamente neutra, lei se ne accorge e si volta di scatto ridendo di cuore
nel vedermi scuro in faccia. Afferra violentemente le mie mani e mi
restituisce, con gl'interessi, il bacio sul collo che poco prima le ho dato io.
«Anch'io
stavo scherzando "sciocchino", come diresti tu.» - mi comunica divertita
- «Ti conosco troppo bene per pensare a te come uno sporcaccione interessato
solo alle donnine nude ed al sesso. È naturale che ti vengano in mente certe
fantasie, ma tu hai la forza di ricacciarle da dove sono venute. Pensi che io
sia fatta di ghiaccio? Come hai detto l'altro giorno sul mare: - "siamo
grandi" - quindi possiamo coscientemente valutare cosa è meglio per noi,
anche in quel senso lì!»
La mia bimba!
È una donna ormai! Che ci faccio con lei? Me la merito? Spero di si!
«Grazie!» -
mi esce naturale.
«A proposito,
per dormire usi il pigiama o la camicia da notte?» - le chiedo riprendendo il
gioco - «…e le mutandine: le porti si o no?» - ribadisco.
Mi colpisce
con un ceffone che non riesco ad evitare, ma ride divertita senza sciogliere il
dubbio che mi rode, mi getta le braccia al collo e mi bacia proprio nel momento
in cui Fulvia e Feo si affacciano dal corridoio:
«Piccioncini!!!»
- ci apostrofa Feo con una calata decisamente ironica - «Siamo arrivati,
dobbiamo scendere, sarà il caso di rimandare le effusioni ad un momento più
opportuno!»
Meno male che
hanno provveduto loro ad avvisarci, chissà dove
saremmo scesi, senza il loro
aiuto, presi com'eravamo dalle nostre faccende private! Mi alzo e faccio per
forzare lei a rimanere seduta, come se non volessi farla scendere. È scivolata
sul posto che in precedenza occupavo io e continuo a spingerla con le spalle
contro lo schienale della poltroncina ridendo divertito, mentre lei si
divincola nel tentativo di liberarsi; anche lei ride rumorosamente. La rilascio
solamente nel momento in cui l'autobus si ferma e mi avvio di gran carriera
lungo il corridoio centrale verso la porta anteriore, quella adibita alla
discesa, costringendo Martina ad una rincorsa per non rischiare di rimanere a
bordo.
La nostra coppia
d’amici è già a terra, assiste divertita alla scena di Martina che scende
trafelata i due scalini finendomi addosso con tutto il peso ed io che
l'abbraccio stringendola fortissimamente come per scrivere la definitiva parola
"fine" sull'argomento. Dai finestrini del torpedone i passeggeri
assumono espressioni stranite non riuscendo ad intuire la dinamica
dell'accaduto. Qualcuno sorride.
Il Villaggio
Scolastico è situato alla periferia di una cittadina vicina al nostro paese ed
occupa un'accogliente area per lo più adibita a verde, con altissimi pini,
giardini e vialetti meta non solo di studenti ma anche di cittadini desiderosi
di un po' di fresco e di tranquillità. Il campo sportivo, circondato dalla
pista d'atletica leggera, quello di pallacanestro ed il palazzetto dello sport
conferiscono un senso di completezza a tutta la zona. Noi stiamo passeggiando
per le stradine del villaggio, fiancheggiate da basse siepi d’arbusti
sempreverdi, in direzione del Liceo Classico dove sia Martina che Fulvia hanno
deciso d'iscriversi. L'istituto è sicuramente l'edificio più vecchio del
villaggio e sembra un po' la madre di tutte le altre costruzioni, alcune delle
quali recentemente inaugurate o ristrutturate. Oltre il portone d'ingresso,
l'androne deserto incute un certo timore e l'aria che si respira ha un sapore
di severità ed austerità tipicamente scolastiche. I nostri passi risuonano nel
silenzio rotto soltanto dal ticchettio di una macchina per scrivere proveniente
dall'unica stanza con la porta aperta. Sull’uscio una targa in ottone riporta
la scritta Segreteria in bassorilievo
ed intuiamo di essere arrivati nel posto giusto. All'interno, due signore ben
vestite ed accuratamente truccate stanno svolgendo le rispettive mansioni: una,
seduta, è l'esecutrice dell'assolo per macchina da scrivere a cui abbiamo
assistito dal corridoio mentre l'altra è in piedi di fronte ad un armadio
aperto pieno di faldoni di cartone contenenti un numero infinito di fogli di
carta, probabilmente profili scolastici, risultati di scrutini ed altri
documenti accumulati nel corso degli anni. Un bancone metallico con il ripiano
superiore in legno lucido, separa la zona d'ingresso dallo spazio riservato
alle due segretarie.
«Buongiorno.»
- salutiamo quasi in coro, come Boy Scout ben addestrati all'adunata mattutina.
La segretaria
in piedi contraccambia cortesemente il saluto e ci chiede di che cosa abbiamo
bisogno. Fulvia prende l'iniziativa: chiede i moduli e la documentazione
necessaria per effettuare l'iscrizione.
«Per tutti e
quattro?» - chiede la gentile signora.
«No! Solo per
due.» - risponde prontamente Fulvia alla quale la segretaria consegna due sets
di moduli da riempire, i bollettini postali per pagare le tasse scolastiche e
due fogli ciclostile sui quali è indicata la documentazione necessaria per
finalizzare l'iscrizione; i moduli devono essere firmati dai genitori quindi
sarà necessario sorbirci un altro viaggetto in pullman nei prossimi giorni.
Dopo aver
ringraziato usciamo per recarci all'Istituto Tecnico Industriale dove Feo ha in
mente d'iscriversi; è il complesso più grande di tutto il villaggio, con i
caratteristici estesissimi capannoni, dai finestroni a vetrata, adibiti ad
officina, dove gli studenti mettono in pratica le tecniche acquisite con lo
studio della teoria. Prima di affrontare il portone d'ingresso, attraversiamo
un piccolo giardino abbastanza curato. Oltrepassata la soglia, il corridoio
dalle pareti recentemente pitturate di bianco, è meno austero del precedente,
ma molto più freddo e distaccato. Filtra luce dall'unica porta aperta che dà
sul corridoio e che supponiamo sia l'adito alla segreteria. Feo ed io ci
affacciamo timidi, mentre le ragazze sostano nel corridoio, ed un'anziana
signora, con gli occhiali dalla montatura ornata di finti brillantini, alza la
testa distogliendo lo sguardo dalle pagine del giornale aperto e ci guarda dal
di sopra delle lenti.
«Vorrei…» -
Feo non fa in tempo a completare la frase, che la signora si alza con aria
annoiata e si dirige verso un angolo del bancone dove sono accatastate due pile
di moduli. Ne abbranca un paio e li appoggia sul ripiano del bancone stesso
senza proferire parola.
«…E la
documentazione da allegare?» - chiede cortesemente Feo.
«È tutto
spiegato lì sopra, e ci sono anche le cedole per pagare le tasse.» - risponde lei
con fare sufficiente.
«Grazie…
molto gentile!» - ci congediamo con atteggiamento critico.
È giunto il
mio turno, ho deciso di frequentare il Liceo Scientifico, per l'appunto
intitolato ad Enrico Fermi, e lo stabile che ospita la scuola si trova proprio
vicino al palazzetto dello sport. Una grande scala precede il portone
attraverso cui accediamo ad un’ampia sala sulla quale si affacciano numerose
porte chiuse e, sulla sinistra, un largo corridoio. Sulla destra del salone la
postazione delle custodi dalla quale si distacca una di loro che, piuttosto
grassottella, riempie abbondantemente la classica sopraveste blu; ci si fa
incontro, con andatura altalenante e ci accompagna verso il corridoio dove si
apre la stanza adibita a segreteria. La bionda segretaria, piuttosto giovane,
ci accoglie freddamente ma con aria professionale e, alla mia richiesta, mi
consegna il modulo, i bollettini per le tasse, con ampie spiegazioni sulla
maniera di compilarli correttamente, e la lista dei documenti necessari
all'iscrizione.
«Missione
compiuta!» - afferma il mio amico scendendo lo scalone esterno del Liceo -
«Abbiamo da pagare tasse in abbondanza: saranno felici i genitori!» - continua
ironicamente.
Facciamo una
passeggiata per il paese, Martina mi tiene per mano ed altrettanto fa Fulvia
con Feo, si soffermano di fronte alle vetrine dei negozi, prevalentemente
d'abbigliamento, dove i loro commenti mettono in risalto questo o quel
vestitino, costume o altri accessori che, sinceramente, non attirano la mia
attenzione né quella del mio fido compagno. Andando a zonzo, la mattinata passa
in fretta ed abbiamo fatto l'ora di raggiungere la stazione degli autobus per
il ritorno verso il nostro paese.
...continua
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