sei di vada se...

venerdì 9 marzo 2012

terzo 1 di 3

Terzo – 1/3
14 giugno 1972, Scuola Media Statale “Dante Alighieri”. All’ombra di platani secolari, di fronte al porticato a quattro arcate, più di centocinquanta ragazzi quattordicenni, a parte le poche eccezioni di ripetenti ed il Pupo della terza “G” che compirà diciotto anni a settembre, ma lui non fa testo, sono ammassati fuori del portone ed attendono agitati il trillo della campanella. La nostra classe ha risposto in massa all’appello e, sotto le fronde di uno dei grandi alberi, siamo radunati a scambiarci le impressioni sulle inquietudini che ci hanno accompagnato nell’ultimo periodo e sulla notte appena trascorsa. Io, stranamente, sono piuttosto disteso. licenza media, esame tema, italiano, dentifricio, pubblicitàPurtroppo dobbiamo renderci conto che Nanni non è della compagnia, quest’oggi. Durante l’anno ha incontrato delle difficoltà per lui insormontabili, o forse non si è impegnato abbastanza, come ammetterà lui stesso, e si è perduto per la via. Non ha retto lo scontro con la Matematica, l’Italiano, il Francese che gli hanno giocato un tiro mancino e non è stato ammesso all’esame. Che peccato! Dispiace che non sia della partita.
Sorpresa! Paonazzo in faccia per lo sforzo, con le ruote della bici che slittano sulla cedevole ghiaia del piazzale, l’uragano Nanni si abbatte sul gruppo, impetuoso come un cavallone sulla battigia in una giornata di Libeccio. Abbracci, baci, pacche sulle spalle. E chi se lo aspettava! In un baleno, le facce, fino a quel momento seriose, si aprono in gioviali sorrisi.
«Ragazzi, non gliel’ho fatta a rimanere a casa! Non potevo mancare. Tre anni passati a condividere la stessa stanza… Non siate giù, me l’aspettavo, durante tutto l’anno scolastico non ho fatto niente per evitarlo.»
Questo è lo spirito di Nanni, il più pacioccone tra i compagni di classe, noi dovremmo consolarlo ed invece è lui che consola noi.
«Mi mancherete. Mi mancheranno le sbirciate verso Sonia.» – ed ammicca malizioso verso il prorompente davanzale della nostra compagna messo in risalto dall’attillata maglietta di cotone.
«Dovrò fare a meno delle gomitate di Stecco, fedele compagno di banco, durante la lettura di un passo dell’Odissea o di una poesia del Pascoli: chi mi sveglierà l’anno prossimo, se mi addormento tra un verso e l’altro?» ed indica l’amico magrissimo.
«Mi mancheranno soprattutto le litigate con Fulvio.» – ed accenna, all’indirizzo della mascella del compagno-avversario, un diretto destro che sfocia in un abbraccio quasi fraterno.
Diventa serio, e noi con lui.
«Solo ora mi rendo conto che, se mi fossi impegnato appena un po’ di più, magari per il rotto della cuffia, avrei potuto provarci anch’io. Bene! Ora non mi deludete:» – urla – «andate e fateli neri!» Il grande Nanni emerge di nuovo – «Io mi rifarò l’anno prossimo. Farò da babbo ai miei nuovi compagni. I piccinaccoli!»
Driiiiiin! Il trillo della campanella ci coglie di sorpresa, intenti com’eravamo a dare a Cicciobello la soddisfazione che merita.
La bidella ha premuto il pulsante alle otto e venti precise e la massa si muove in un’unica direzione invadendo l’androne e poi le scale destrorse. Nanni ci saluta appoggiato al tronco del platano. Dalla finestra del mezzanino lo vedo che inforca la bicicletta e si allontana mesto. Al primo ed unico piano del fabbricato, una vetrata separa il pianerottolo delle scale dal corridoio della scuola. Sulla destra è situato il bancone a ferro di cavallo che fa da quartier generale alle custodi. La terza “A” si dirige da quella parte ed io con lei, nell’aula in fondo al corridoio che per tre lunghi anni è stata palcoscenico delle vicende scolastiche dei ventitré protagonisti di questo giorno importante. “Avremmo potuto essere uno in più e fare l’en plein” – mi suggerisce un ultimo pensiero rivolto a Nanni.
In classe ci attende la rossa d’Italiano, agghindata con un tailleur di lino beige con grandi bottoni d’osso, che dalla cattedra ci osserva compiaciuta, con le mani in mano, mentre ci accomodiamo ognuno ai rispettivi banchi. Feo ed io siamo al terzo banco, il penultimo della fila centrale, quella proprio davanti alla cattedra. Io occupo il posto di destra, lui quello di sinistra. Franco è all’ultimo banco della fila vicino all’unico finestrone, alla nostra sinistra, con la porta alle spalle e di faccia alla lavagna. Inevitabili i rumori d’assestamento delle sedie, che accoglieranno i nostri fondo-schiena per tutta la mattinata, di cartelle che si aprono, di vocabolari che si dispongono sui banchi e di penne che scattano in attesa di compiere il loro dovere. Il discorso d’apertura spetta alla prof, che ci augura un buon esame mentre distribuisce, a ciascuno di noi, due fogli protocollo vidimati con un timbro in rilievo del Ministero della Pubblica Istruzione, con l’avvertenza di restituirli entrambi anche se scarabocchiati. Consiglia di usarne uno per la brutta copia e l’altro per la bella. Apre la busta con i titoli dei temi da svolgere e li trascrive, in bella calligrafia, sulla lavagna nera.
Le ultime raccomandazioni:
«Ragazzi, ritengo superfluo suggerirvi di non copiare. Non ci provate con i temi già svolti. Se qualcuno di voi ha con sé un volume con temi del genere, apprezzerò molto se me lo consegna adesso e non ci saranno conseguenze alcune sull’andamento e sulla valutazione dell’esame. Come immaginerete, atteggiamenti del genere possono portare alla spiacevole sanzione d’annullamento del compito. Sono certa che non è il caso vostro, ma sono costretta a farvi queste raccomandazioni, come previsto dal cerimoniale. Un consiglio: scambiatevi pure delle opinioni, durante lo svolgimento, ma non esagerate, potreste arrecare fastidio ai compagni, concentrati sul loro lavoro, e potreste minare la vostra concentrazione. In bocca al lupo!»
In coro: «Crepi!» e si comincia.
Piego longitudinalmente i fogli a metà, in modo che ogni facciata sia costituita da due colonne, ed esamino i titoli alla lavagna: uno di storia, uno d’attualità, ed il terzo di letteratura.
M’invade la consueta angoscia da compito d’Italiano e sono combattuto tra l’analisi del ruolo di Garibaldi nell’Unità d’Italia ed il vestire i panni di un novello Pubblicitario che promuove insostituibili prodotti. Scarto a priori le considerazioni sull’Ermetismo Italiano da Ungaretti a Quasimodo.
Ponderare bene e scegliere l’argomento giusto senza dar luogo ad uno dei soliti rimpianti! Un imperativo assoluto: vietato andare fuori tema!
Un rapido sguardo vaga per la classe. Tutti assorti nella contemplazione della lavagna ed anche Feo appare indeciso ma, se lo conosco bene, probabilmente la sua preferenza ricadrà su Garibaldi e le sue mille camicie rosse.
Ho scelto. Vado per il pubblicitario e brevetto un dentifricio il cui nome è tutto un programma: Sanident. Mi avvalgo del ricordo di alcune caratteristiche riportate sulle confezioni e sui tubetti che hanno transitato nel mobiletto del bagno di casa mia e, in un cocktail di ragionamenti, le amalgamo con le notizie fornite dai filmati pubblicitari della televisione. Il gioco è fatto. Abbasso la testa e la fedele Bic dal fondo rosicchiato scorre sul foglio protocollo a righe come un bob a quattro alle Olimpiadi invernali, lasciando promettenti scie d’inchiostro blu scuro. La mia creatura è a base d’essenze di menta ed eucalipto, contiene fluoro a volontà ed un’innovativa sostanza, la lucidina, che rende i denti bianchi e splendenti degni del più smagliante sorriso da sfoggiare in un filmato di Carosello. Il rivoluzionario composto è inoltre un anti-tartaro per eccellenza che reagisce drasticamente con le molecole di calcio e sali derivati, contenute nella saliva, nell’acqua e nei cibi in genere. Ma il fiore all’occhiello del mio dentifricio è l’azione antisettica della lucidina che previene in maniera assoluta la formazione della placca batterica e dell’inevitabile carie dentale. Sulla confezione, bianca con ghirigori gialli, arancioni e rossi, è raffigurato un affabile coniglietto, anch’esso bianco, con i grandi incisivi candidi in primissimo piano ed uno spazzolino da denti rappresentato di tre quarti. Nel filmato pubblicitario a cartoni animati, due coniglietti gemelli, Sanny e Ronny, con l’effigie della mia mascotte, si sono da poco alzati dal letto e si apprestano a lavarsi i denti. Sul lavandino: due tubetti di dentifricio, il Sanident ed un altro qualsiasi. Ronny usa il dentifricio del tubetto qualsiasi, mentre Sanny presta attenzione a prendere quello del Sanident. Dopo una mattinata passata a giocare e saltellare spensieratamente per i prati, rientrano a casa dove la mamma ha preparato un pranzo a base di vari appetitosi ortaggi: sedani, finocchi, erba cipollina e le immancabili carote. All’unisono i due protagonisti si abbuffano ma, mentre Ronny vede le stelle a causa di un dolore lancinante che attanaglia la sua dentatura al primo morso dato ad una tenera costola di sedano, Sanny addenta senza alcuna difficoltà una carota gigantesca recitando lo slogan:
“Occhio per occhio, dente per dente.
Occhio a Sanident, o il dente è perdente!”
…mentre la confezione del dentifricio passa in primo piano sullo schermo televisivo ed una voce fuori campo recita:
“SANIDENT. Il modo migliore per la protezione
e lo splendore dei suoi e dei tuoi denti.”
“Va bene, va bene, come slogan non è il massimo, ma ne ho sentiti di peggio alla televisione!” – rimugino.
La brutta copia sembra un campo di battaglia dopo il passaggio del fronte, con fregi, cancellature, scarabocchi, riporti e tutto il resto, ma sono piuttosto soddisfatto, nella speranza che pure la prof apprezzi. Giusto il tempo di ricopiare in bella copia, solo sulla colonna di sinistra delle facciate del foglio protocollo, che siamo arrivati quasi a mezzogiorno. Un bel po’ dei miei compagni ha già consegnato, compreso Franco. Feo non ha ancora finito, ma noto che oramai è agli sgoccioli. Aspetto pochi minuti che anche lui concluda il suo componimento e, quasi contemporaneamente, consegnamo entrambi i fogli utilizzati, dopodiché riponiamo penna e vocabolario nei rispettivi zaini, ce li mettiamo sulle spalle e, con l’autorizzazione dell’insegnante, ci avviamo verso l’uscita.
…e la prima è andata!
Nel cortile della scuola incontriamo di nuovo Franco che ci sta aspettando, ci soffermiamo a commentare il compito con gli amici, ma, nel frattempo, vediamo arrivare l’autobus che deve riportarci a casa, quindi salutiamo tutti, nell’attesa di rivederci la mattina successiva.
Poche parole ci sfuggono nel breve tragitto dell’autobus da scuola a casa, e vanno poco oltre la comunicazione reciproca del titolo del tema scelto: siamo ancora spossati dalla mattinata stressante.
Feo saluta e scende dalla porta anteriore dell’autobus, Franco ed io scenderemo tra due fermate e c’incammineremo in direzioni opposte per raggiungere le rispettive abitazioni.
A casa il pranzo è pronto, mi siedo a tavola e mangio di gusto, mentre riassumo, in poche parole, il contenuto del mio tema incontrando l’approvazione di mia madre. Una breve pausa di relax sul terrazzo e mi butto di nuovo sui libri, per gli ultimi ritocchi prima del compito di Matematica di domani mattina.
Il pomeriggio scorre lentamente tra quaderni a quadretti ed esercizi presi dalle ultime pagine del libro di testo. Verso le sei e mezzo il campanello del portone trilla: è Feo, completamente nel panico.
«Non ricordo più niente. Mi sono provato a fare mille esercizi e non ne ho finito neanche uno. Come si risolvono i sistemi a due incognite? …e le radici quadrate? Mi sono dimenticato perfino il Teorema di Euclide! Per me è finita!»
Classica manifestazione di stress-da-esame. Feo ed io abbiamo sempre avuto risultati più che soddisfacenti a Matematica, per cui non c’è motivo di preoccuparsi.
«Non ti angosciare, al massimo ti bocciano» – rispondo cercando di sdrammatizzare, mentre mi alzo in piedi. Feo mi guarda con aria stralunata. Poi la sua espressione s’incupisce, strabuzza gli occhi, diventa rosso in faccia e mi assale impetuosamente come se volesse uccidermi, mentre me la rido spudoratamente cercando di parare il colpo.
«Bell’amico, sei! Io sono nel dramma e tu mi prendi in giro!» E giù botte. «Ci ridi pure sopra!» Mi difendo come posso dal ciclone, continuo a ridere e, nel parapiglia, finiamo su una delle due poltrone allorquando, finalmente, Feo si calma.
«…e ora che cosa m’invento per domani? Un repentino colpo di spugna ha cancellato dal mio cervello tutte le cognizioni di Matematica, come una cimosa pulisce la lavagna. In queste condizioni potresti persino convincermi che due più due fa tre.»
Cerco di tranquillizzarlo, ma non è facile.
«Andiamo a fare due passi, prima di cena?»
«Va bene!» – risponde.
Passiamo un’oretta a spasso per le stradine del nostro quartiere ed affrontiamo molti argomenti, tra cui l’esame, ovviamente, l’ultimo scudetto, ovviamente della Juve, con il nostro Milan che si è classificato al secondo posto, e qualche commento sulle ragazzine del paese. Incontriamo un po’ di gente, ma nessuno che valga la pena di coinvolgere nella nostra conversazione: ci limitiamo a saluti di circostanza e proseguiamo nella rinfrancante passeggiata. Tra un discorso e l’altro si avvicina l’ora di cena, Feo è più tranquillo e mi auguro che la passeggiata abbia ripristinato le sue cognizioni matematiche. Siamo giunti di nuovo al cancello di casa mia e qui ci salutiamo dandoci appuntamento a domani, alla fermata dell’autobus. Cena, un po’ di televisione con i miei e poi a letto, a riposare le membra, ma soprattutto i neuroni, in vista della seconda prova d’esame.

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